Aumenta la propensione delle aziende a fare investimenti sociali e anche quella dei singoli filantropi a fare donazioni individuali. E’ quanto emerge dallo studio “Corporate social impact strategies – New paths for collaborative growth”, pubblicato dalla European venture philanthropy association e presentato a Milano dal centro studi di Fondazione Lang Italia, e da un’analisi dello stesso centro studi su dati Ocse, Oxfam, Bnp Paribas, Il Sole 24 OreFondation de France.

Tra 2014 e 2015, secondo questo secondo report, la filantropia è cresciuta in Europa più che nel resto del mondo. Probabilmente anche perché il Vecchio continente partiva da posizioni arretrate rispetto agli Stati Uniti. LIndex score ranking di Bnp, che ne registra lo sviluppo in base all’entità delle donazioni e al grado di comunicazione esterna dei propri sforzi benefici e di innovazione nell’approccio imprenditoriale alla materia, è infatti salito di 5 punti su una scala di 100, mentre l’Europa ha fatto un balzo di 9 punti. Il rapporto sottolinea però come in Italia ci siano pochi donatori rispetto al resto del continente: il 30% della popolazione contro il 70% della Svizzera e l’85% dell’Olanda.

Ma quei pochi filantropi italiani donano molto: nel 2013, il nostro Paese si è attestato al terzo posto in Europa per quanto riguarda l’ammontare delle donazioni individuali, pari a 2,6 miliardi di euro, dopo Germania e Regno Unito. In particolare, prosegue il rapporto, un filantropo italiano su tre premia cause di rilevanza nazionale e destina un quinto dei suoi guadagni annuali in donazioni benefiche. Seguono gli interventi a livello internazionale (24%) e le elargizioni a favore della propria regione o del proprio territorio di appartenenza (20%). Le ragioni di queste donazioni sono il desiderio di aiutare gli altri (60%), il senso del dovere (56%) e il passaggio intergenerazionale di un impegno filantropico avviato (52%).

Questi interventi si inseriscono però in un contesto di crescente disparità tra ricchi e poveri. Entro il 2016, segnala lo studio, l’1% della popolazione mondiale avrà più ricchezze del restante 99%. Restringendo il campo all’Italia, nel 2015 il 20% dei cittadini può vantare il 61,6% della ricchezza e un altro 20% appena al di sotto il 20,9%. In poche parole, il 40% degli italiani più benestanti controlla oltre l’80% della ricchezza nazionale.

Per quanto riguarda le aziende, stando al rapporto della European venture philanthropy association l’impatto sociale cresce di importanza nelle scelte di investimento. Nelle maggiori imprese mondiali, infatti, un amministratore delegato su tre considera la sostenibilità come una delle priorità strategiche. Fino al 2010, questo rapporto si fermava a uno su dieci. Ma se da un lato aumentano gli investimenti sociali, segnala l’associazione, dall’altro si allarga il divario tra ricchi e poveri, con le risorse concentrate sempre più nelle mani di pochi. Nel dettaglio sono diverse le motivazioni che, secondo i dati raccolti dall’associazione, spingono un’azienda a puntare su strategie di impatto sociale: le imprese contano di acquisire una fonte di crescita e innovazione, attrarre i talenti migliori, rafforzare il brand, migliorare l’efficienza della catena di distribuzione.

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