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di Sergio Galleano *

Ha avuto risalto sui media la vicenda dei funzionari della Agenzia delle entrate (nel numero di circa 1.200) incaricati di svolgere compiti di dirigente per periodi anche superiori ai dieci anni con contratti a termine bocciati dalla Consulta con sentenza n° 37 del 27 febbraio 2015.

La pubblica opinione si è subito divisa, prevalendo la convinzione che costoro fossero i soliti raccomandati che erano diventati dirigenti senza concorso e che dunque bene aveva fatto la Corte Costituzionale a “provocarne” la decadenza dall’incarico.

Ma la questione non è così semplice. La scelta di nominare i funzionari è dovuta alla necessità di sostituire i dirigenti che dal 2001 sono andati in pensione lasciando scoperti posti chiave che non hanno potuto essere assegnati perché non sono mai stati svolti i concorsi (gli unici indetti sono stati annullati dal Tar, guarda caso, per irregolarità). Inoltre si tratta di soggetti che, nel corso degli anni hanno contribuito ai positivi successi dell’agenzia nella lotta all’evasione fiscale in questi anni, coma ha dichiarato la direttrice dell’agenzia al Senato il 16 luglio 2015.

Si tratta poi di lavoratori che si sono ritrovati declassati, con stipendi dimezzati, spesso senza mansioni perché le posizioni occupate anni prima sono state eliminate e con possibilità di carriera azzerate, tanto che molti hanno preferito dare le dimissioni e trovare altri posti presso i privati, con intuibile danno per l’efficienza della pubblica Amministrazione. Si pensi che il Consiglio di Stato ha deciso, dopo la Corte costituzionale, che gli ex dirigenti non potranno neppure far valere come titoli nei futuri concorsi il periodo di svolgimento delle mansioni dirigenziali dichiarate incostituzionali e si troveranno a partire da zero non avendo potuto partecipare ai corsi di riqualificazione, ai progetti ed alle specializzazioni, che hanno consentito ai colleghi funzionari di acquisire titoli spendibili nelle procedure di avanzamento di carriera, perché impegnati nell’attività dirigenziale.

Se ne dovrebbe concludere che la loro storia debba finire così, vittime in omaggio al principio del concorso (tanto più che, comunque, i loro atti sono stati ritenuti validi dalla Cassazione), in un paese dove i concorsi non si fanno mai e quando si fanno, troppo spesso risultano truccati. Solo i raccomandati ottengono i posti di lavoro definitivi. Si veda solamente la vicenda di cui alla sentenza “Valenza” dove i precari delle Authority indipendenti, sono stati tutti stabilizzati con decreti non convertiti ma i cui effetti sono stati fatti salvi con leggina ad hoc; e con ciò garantendo loro stipendi di molto superiori a coloro che erano stati assunti con regolare concorso, costringendo il Consiglio di Stato a sollevare la questione della “discriminazione alla rovescia”, ottenendo la sprezzante risposta della Corte di Lussemburgo che possiamo sintetizzare con il noto broccardo “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, e con la precisazione che sul principio di eguaglianza non si tratta (ma poi il Consiglio di Stato ha comunque sentenziato, con una decisione opinabile sotto lo stretto profilo di diritto, negando il miglior trattamento retributivo).

La conclusione però non è scontata. La normativa europea vieta, con la Direttiva 1999/70, alla clausola 5 che si abusi dei contratti a tempo determinato , disponendo che, in caso di reiterazione continua senza ragioni oggettive, avviene la trasformazione a tempo indeterminato. Proprio sulla scorta di tale principio, i docenti scolastici sono stati prontamente stabilizzati con la “buona scuola” di Renzi in conseguenza della sentenza Mascolo della Corte europea.

Così i lavoratori hanno iniziato ad agire in sede giudiziaria e, anche se i contratti sono stati ormai stati annullati in via definitiva dal Consiglio di Stato, hanno fatto causa allo Stato italiano, chiedendo il risarcimento del danno, in forma specifica attraverso il riconoscimento definitivo quali dirigenti ovvero sotto l’aspetto monetario, per la perdita di possibilità di carriera.

Tale azione è conforme alla sentenza Ferreira da Silva, del 9 settembre 2015, dove la Corte di giustizia europea ha sancito che anche in caso di sentenza definitiva del giudice nazionale, i soggetti vittime di una violazione della normativa europea, possono agire avanti al giudice ordinario per ottenere il risarcimento conseguente da parte degli stati membri. Gli ex dirigenti chiedono dunque il risarcimento in forma specifica (riconoscimento del rapporto dirigenziale) o sotto il profilo economico.

Non è dunque escluso che la causa possa avere esito positivo, magari con un ulteriore passaggio in Corte di giustizia, come è successo per la scuola con la sentenza Mascolo, che ha portato alla stabilizzazione dei docenti scolastici da parte del governo Renzi.

Insomma per salvare i concorsi – della cui essenzialità nessuno dubita – non sarebbe il caso di prendere atto della situazione, ovvero degli abusi dello Stato italiano, che ha creato un esercito di precari, spesso a fini clientelari e, data la situazione di emergenza e di palese violazione della normativa europea, varare un piano serio di stabilizzazione per chi lavora da anni in una situazione di insicurezza?

E poi, da oggi in poi, farli – e farli davvero e seriamente – i concorsi.

*Avvocato giuslavorista, socio AGI. Opera nei suoi studi di Milano e Roma che si occupano di diritto del lavoro pubblico e privato, sempre ex parte lavoratoris, seguendo personalmente le cause in Cassazione, in Consiglio di Stato e in Corte costituzionale. La difesa dei lavoratori a termine è iniziata negli anni ’80 e, dal settore privato, si è via via estesa a tutti i settori, con particolare attenzione al pubblico impiego e nel mondo della partecipate pubbliche, come Poste italiane, difendendo i docenti della scuola in Corte europea a Lussemburgo.

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