Negli ultimi cinque anni la Rai ha fatto registrare un calo del fatturato di -16%, France Télévision di -4%. La tedesca Ard è aumentata invece di +8%, +10% per l’altro più piccolo servizio pubblico, la Zdf, mentre la Bbc mantiene le posizioni (+2%).

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Colpisce la diversa consistenza dei servizi pubblici. Ogni tedesco spende in media 113€ l’anno per “mantenere” ben due servizi pubblici, 93€ per la Bbc. In Italia si spende 43€ per finanziare la Rai, che “vale” un terzo dei due servizi pubblici tedeschi e la metà della Bbc. La Rai è relativamente piccola, dal punto di vista economico, rispetto agli altri operatori europei, ma è anche il servizio pubblico con il maggiore ascolto: il 38% di share, mentre gli altri servizi pubblici si situano fra il 20 e il 30%. Va detto però che da noi prevale ancora la classica Tv generalista, mentre la pay è più diffusa negli altri Paesi.

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Merita una particolare attenzione la composizione dei ricavi. Ard e Zdf si finanziano quasi esclusivamente con il canone (la pubblicità è ammessa per soli 30 minuti al giorno, con esclusione della domenica). La Bbc ha il divieto di fare qualsiasi tipo di pubblicità: si finanzia con il canone per il 78% e per il restante 22% dalla proficua attività commerciale svolta da Bbc Worldwide. È un’attività incentrata in prevalenza sulla vendita di programmi in tutto il mondo, agevolata anche dall’avere un mercato potenziale molto ampio, grazie anche alla diffusione della lingua inglese. Attività che la Rai ha difficoltà a svolgere, poiché la produzione è stata, negli ultimi decenni, prevalentemente appaltata all’esterno e per avere pochi programmi apprezzati nel mercato internazionale (eccetto Il commissario Montalbano e poche altre fiction). Anche France Télévision si finanzia prevalentemente dal canone, dopo l’introduzione nel 2009 di forti limitazioni sulla pubblicità. Per il gruppo Rai, l’incidenza del canone è pari al 61%, la quota più bassa.

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Da questi dati si evince che la Rai è il servizio pubblico più commerciale, nel senso che la pubblicità ha un peso sul conto economico e quindi sulla gestione molto più consistente. Ciò è favorito dal fatto che i limiti di affollamento pubblicitario per la Rai sono piuttosto blandi e che la Rai ricerchi nella pubblicità quei ricavi aggiuntivi necessari per finanziare le attività considerate più commerciali, diventate peraltro la maggioranza della programmazione. E così la Rai, come una qualsiasi Tv commerciale, fa televisione per vendere pubblicità e non vende la pubblicità per fare televisione.

Il proposito del governo di ridurre l’evasione è condivisibile; mentre non lo è l’intendimento (previsto nella legge di stabilità) di assegnare alla Rai la stessa entità di ricavi da canone nei diversi anni prescindendo dal maggior gettito derivante dal recupero dell’evasione. La soluzione ottimale dovrebbe essere invece quella di ridurre in misura consistente, grazie al maggior gettito del canone, l’entità del canone unitario, e di limitare drasticamente la pubblicità che la Rai può trasmettere. In tal modo si ancorerebbe di nuovo la Rai alle sue originarie funzioni di servizio pubblico, e nel frattempo si ridarebbe fiato, grazie alla pubblicità che dalla Rai rifluirebbe, almeno in parte, sul mercato, a un sistema della comunicazione in crisi.

Il risultato delle soluzioni finora individuate dal governo, sembra portare verso una sorta di “privatizzazione” della Rai poiché (come detto) quest’ultima sarà obbligata, avendo i ricavi da canone fissi, a diventare sempre più un’azienda commerciale, e contemporaneamente, in base al disegno di legge governativo di riforma dei criteri di nomina dei vertici, verso il controllo diretto sulla Rai da parte del governo (con la nomina di un amministratore delegato con pieni poteri scelto dall’Esecutivo).

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