Si sa che quando il futuro si affolla di domande l’istinto di chiunque è di ricercare nel proprio passato i precedenti che possano voltare in esclamativo qualcuno dei molti punti interrogativi che preoccupano. Così è per la Rai di oggi che, nell’epoca del pluralismo di mercato e della multimedialità, deve dare concretezza a un’idea di Servizio Pubblico attorno alla quale, al di fuori delle note e datatissime chiacchiere sul pluralismo delle testate-idea (quando c’erano), non ha in realtà mai riflettuto.

E così che al momento giusto esce fuori dal mondo degli archivi Rai (per opera di Barbara Scaramucci e Stefano Nespolesi, per le edizioni ERI, che già a citarle fanno madeleine) un volumetto dedicato a “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero“, le avventure seriali prodotte dal Centro di Torino fra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 del secolo passato. La cosa singolare è che di quelle numerosissime puntate non è rimasto nulla di fisico, perché a quei tempi nessuno, neanche la Rai, prendeva la tv tanto sul serio da pensare di doverne addirittura conservare le trasmissioni. Così si buttava tutto per sgombrare gli scaffali oppure si cancellavano i costosi nastri magnetici per riutilizzarli pari pari e risparmiare sull’acquisto dei rimpiazzi.

Però le imprese di Nonna Giovanna non sono in effetti scomparse perché ancora resistono nella memoria della generazione nata fra il 1950 e il 1955, che in quei tempi in cui non c’erano le telenovela e i cartoon erano razionati più dell’acqua nel deserto, se le trovavano incorniciate ogni giorno nella “Tv dei Ragazzi“. Già, perché esisteva una “Tv dei ragazzi” nonostante che del parental control non ci fosse alcuna necessità perché tutta la tv di allora, ovvero i due canali della Rai, era morigeratissima (ma la fantasia ormonale integrava quel che le calze coprivano delle gambe delle Kessler). Con quei fanciulli all’epoca alle soglie o appena vittime della pubertà la Rai instaurò allora una sorta di complicità generazionale, tanto che ancora oggi, ce lo racconta l’auditel, quelle generazioni costituiscono il grosso degli spettatori della società di Stato. Qualcosa di simile riuscì a Mediaset venti anni più tardi quando allevò i bambini a forza di Puffi e i ragazzi a base di ragazze pop corn. E così ancora oggi quelle generazioni fra i quaranta e i cinquanta anni sono stabilmente fedeli ai canali del Biscione e sono tendenzialmente impermeabili all’offerta Rai, quale che sia.

In altri termini, questa è la lezione della Nonna del Corsaro Nero, il pubblico te lo conquisti da piccolo e, se ci sarai riuscito, in seguito difficilmente lo perderai perché, avrai consolidato un linguaggio condiviso, e anche un non detto che farà da collante alle offerte più svariate. Il che, tornando alle domande di futuro che incombono oggi sul Servizio Pubblico, significa, se non sbagliamo, sprofondarsi, diremmo prioritariamente, nell’attuale mondo infantile e adolescenziale, coglierne il potenziale mitopoietico e trasportarlo sugli schermi di ogni tipo e dimensione. Impresa temibile, più da artisti che da puri manager. Ma si sa, la comunicazione è un’amante esigente.

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