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Venerdì scorso da buon parigino acquisito, anch’io stavo bevendo una birra in un bar non lontano dal bar La Belle Équipe quando ho ricevuto la prima allerta sul telefono. Vedendo sfilare una decina di ambulanze e di camionette della polizia, il primo riflesso è stato quello di rifugiarmi a casa di un amico lì vicino, il secondo di assicurarmi che le persone a me care non si trovassero nei luoghi degli attacchi. Difficile, quasi impossibile mi dicevo, perché io stesso avrei potuto essere in uno di quei bar, al Bataclan o allo stadio. Fortunatamente nessuno di quelli che conosco figura tra le vittime, ma inevitabilmente nel mio cerchio di conoscenze ci sono persone che hanno perso un amico, un familiare o un collega. Si tratta di luoghi di ritrovo abituali, frequentati per lo più da giovani, spesso professionisti del settore culturale, ma non solo. E l’idea di poter tornare a divertirmi in quei posti è inimmaginabile per il momento.

Da venerdì la ferita degli attentati di Charlie Hebdo è più che mai aperta e a differenza dei giorni che seguirono gli eventi di gennaio i parigini stentano a riprendere la vita normalmente. Nonostante la riapertura dei musei, dei cinema, dei teatri e da ieri anche delle sale concerti, l’apprensione regna ancora palpabile in città. Vi sono lo spettro della guerra, di futuri attacchi e della stigmatizzazione di una parte della popolazione. Tutto ciò ha fatto irruzione nelle nostre vite, violentemente. Colpendo il cuore artistico e del divertimento della Capitale, gli attentati del 13 novembre hanno voluto colpire simbolicamente il nostro quotidiano, lo svago che permette di sopportare gli appartamenti troppo piccoli, i trasporti sempre pieni e i ritmi di lavoro altrimenti insostenibili: senza le uscite nei bar e i concerti, il centro di Parigi sarebbe di fatto una trappola per topi.

Dall’altra parte del bancone, i commercianti, gli artisti e professionisti del settore culturale, ne subiscono ugualmente le conseguenze, più materiali, ma di certo non trascurabili. Il calo di affluenza di pubblico è inevitabile e delle misure di sicurezza supplementari saranno sicuramente richieste per evitare che questo genere di attacchi si riproduca. In questo senso, il fondo straordinario di sostengo destinato ai professionisti del settore musicale annunciato dal ministro della cultura Fleur Pellerin, appare come una delle poche reazioni sensate a questi attacchi.

La risposta culturale non può farsi attendere, perché ne va della natura stessa di questa città, della sua specificità di grande capitale, della ragione stessa per cui la maggior parte dei parigini continua a viverci. Consapevole dei rischi, sono già tornato a sedermi in un bar con degli amici davanti a un bicchiere di pastis e sicuramente nei prossimi giorni tornerò al cinema, ricomincerò ad andare a teatro e non mi negherò un concerto per paura di incrociare la strada di un terrorista. Non tanto per affermare che non ho paura, (“même pas peur “), quanto perché sento che la socializzazione è l’unico modo che ho per esorcizzare quest’apprensione e ricucire le ferite, perché in qualsiasi caso da buon parigino non ho nessuna intenzione di cambiare città.

di Alessandro Xenos

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