Quando le armi dei terroristi si fanno sentire torna l’eco di chi, sull’onda del momento, chiede restrizioni delle libertà in nome della sicurezza. Succede soprattutto negli Stati Uniti dove nel mirino c’è sempre la crittografia. “Credo sia il momento di aprire un nuovo dibattito riguardo a sicurezza o privacy“, è l’opinione di Michael Morell, former deputy director della Cia. Sotto accusa c’è la crittazione dei dati. Gli investigatori sono convinti che i terroristi parigini abbiano usato usato questo tipo di tecnologia per comunicare fra loro. Quello che non è ancora chiaro è se l’encryption sia parte di un vasto utilizzo di tool per la comunicazione come Whatsapp o la chat della Ps4 che le forze di polizia hanno difficoltà a monitorare o qualcosa di più sofisticato.

Anche il direttore della Cia John Brennan in un intervento al Center for strategic and international studies’ Global security forum ha parlato di “un campanello d’allarme” che deve farci riflettere su crittografia e sorveglianza elettronica. Le preoccupazioni riguardano il diffondersi dell’utilizzo di questa tecnologia anche in sistemi operativi come Apple iOS 8 e sistemi di messaging come Whatsapp, che rendono più difficili le indagini tanto che il direttore dell’Fbi James Comey ha fatto pressioni sulle società tecnologiche affinché aggiungano “backdoors” – letteralmente “porte sul retro” – che permettano l’accesso degli investigatori alle conversazioni.

Il dibattito sulle backdoor va avanti da tempo negli Usa, dove undici tra i maggiori esperti di crittografia hanno realizzato un paper dove si sostiene che “il massiccio dispiegamento di infrastrutture che vadano incontro alle richieste delle forze dell’ordine richiedono un significativo sacrificio in termini di sicurezza e convenienza oltre a un sostanziale aumento dei costi per tutti gli utenti dell’encryption”. L’amministrazione Obama ha prima discusso e poi abbandonato un piano per imporre le backdoor, ma tutto potrebbe cambiare. Come ha osservato Robert Litt, chief legal officer dell’ufficio del direttore della National intelligence che si occupa di sicurezza nazionale, l’opposizione dell’opinione pubblica nei confronti delle backdoor “potrebbe cambiare in caso di attacco terroristico quando fosse dimostrato che la crittazione ha ostacolato l’operato delle forze di sicurezza”. Nel frattempo il candidato repubblicano Marco Rubio ha già chiarito il suo pensiero spiegando che “dobbiamo poter accedere ai dati telefonici”, ma non tutti i Repubblicani la pensano come lui.

Anche la Gran Bretagna sta muovendosi in direzione di un maggiore sorveglianza. Il Cancelliere George Osborne ha reso noti i cinque punti di un piano che prevede l’istituzione di un nuovo national cyber centre, un rafforzamento dell’Active defence programme per la difesa da attacchi via Internet, 20 milioni di sterline per un programma dedicato ai talenti informatici fra i 14 e i 17 anni, protezione delle infrastrutture critiche e sviluppo di attacchi online per chi cercherà di colpire il Paese.

Qualcosa si muove anche in Italia. Il procuratore nazionale Antiterrorismo Franco Roberti, su Radio 24 ha affermato che, alla ricerca di un punto di incontro tra l’esigenza di sicurezza e la tutela della privacy “il tema delle intercettazioni e del controllo delle conversazioni telematiche e informatiche dovrà tornare all’attenzione del Parlamento. Non si tratta di frugare nei computer dei cittadini o cedere una parte delle libertà, ma accettare una compressione dei diritti di privacy in nome della sicurezza”.

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