Come era prevedibile Bernardino Leon ha lasciato la missione Onu in Libia. Un anno di tentativi di trovare una via d’uscita alla crisi, di creare un governo di pacificazione nazionale, si è concluso con un fallimento. Ora toccherà all’ex mediatore Onu in Congo, il tedesco Martin Kobler cercare di trovare una soluzione. Verrebbe da dire che la Libia ricorda il gioco dell’oca, con le pedine che tornano al loro punto di partenza. Una immagine che in realtà è fuorviante, per due motivi: si è fortemente consumato il credito di credibilità delle Nazioni Unite e, soprattutto, dal 20 ottobre è decaduto il Parlamento di Tobruk. Così, mentre l’attenzione del mondo dopo gli attentati di Parigi si concentra sulla Siria, sull’altra sponda del Mediterraneo la Libia rischia di implodere definitivamente.

Esce di scena travolto da uno scandalo, Leon. Il britannico The Guardian ha pubblicato un carteggio di mail dal quale si capisce che Leon aveva trattato un contratto di consulenza con gli Emirati Arabi (Paese schierato con il Parlamento di Tobruk) per 50.000 euro al mese. Ora sembra che Leon potrebbe anche rinunciare al contratto perché nel frattempo sono state trovate le prove che gli Emirati hanno violato l’embargo internazionale rifornendo di armi le milizie e l’esercito di Tobruk.

Un anno dopo Leon, il diplomatico Kobler si trova un Paese, la Libia, più spaccato di prima, con una crisi di fiducia molto forte, con una implosione delle istituzioni che sembrano prefigurare una implosione dello Stato-nazione. Bisognerà vedere se il nuovo delegato delle Nazioni Unite sarà intenzionato a dare da subito un segnale di discontinuità rispetto alla gestione Leon, o se invece si prepara a gestire il tavolo libico come uno dei tanti ancora aperti (anche da decenni, come Cipro) che non sembrano avere uno sbocco.

Ma, stando alle prima dichiarazioni, la discontinuità non sembra essere la via prescelta: in un comunicato diramato in giornata, Kobler ha precisato che porterà avanti il processo di dialogo avviato da Leon per “costruire quanto raggiunto finora”. “A questo scopo – si legge ancora – nei prossimi giorni ascolterò i membri del dialogo politico e del Consiglio presidenziale designato, così come diversi altri partner libici per affrontare e risolvere il limitato numero di questioni ancora aperte. Sono deciso ad arrivare a un’approvazione dell’accordo politico libico nell’immediato futuro“.

Una discontinuità anche partire dalla riduzione dell’elefantiaco apparato della delegazione Onu composto da 150 funzionari soprattutto arabi. E una discontinuità nelle presenze degli ambasciatori stranieri in occasione dei vertici tra le parti. Succedeva, infatti, che ogni qualvolta Leon convocava le parti, nella sede dove si teneva il vertice fossero presenti anche gli ambasciatori di alcuni Paesi (Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Portogallo, Spagna, Unione Europea, Egitto, Turchia, Qatar, Emirati Arabi). Questi ambasciatori rappresentano in gran parte Stati che non sono semplici osservatori ma parteggiano con una parte o con l’altra. Questa presenza mina la credibilità stessa della delegazione delle Nazioni Unite e dei partecipanti libici.

Il primo nodo politico che Kobler dovrà superare è la legittimazione del Parlamento di Tobruk, il cui mandato è scaduto il 20 ottobre. Se fosse stata firmata l’ultima bozza di accordo proposta da Leon, il Parlamento sarebbe stato prorogato ma oggi l’ipotesi che il Parlamento pretenda di autolegittimarsi non sembra praticabile. È chiaro che prevale un istinto alla conservazione (della posto) ma le difficoltà di Tobruk sono figlie anche della pratica del “mercanteggia entro” del delegato Leon che in questi mesi ha presentato diverse bozze d’intesa prodotto di contrattazioni successive con le parti in causa. In questo quadro, l’unica forza che sembra avere una strategia chiara è il Daesh, che controlla Sirte. E di fronte a una implosione della Libia, sono i tagliamole dell’Is che si rafforzano.

Italia, Europa, Comunità Internazionale. Non c’è stata fino adesso una posizione unitaria, una strategia chiara, determinata. Ha funzionato la logica di coltivare, ciascun paese, il proprio orticello, i propri interessi (l’Italia in realtà viene percepito dai libici come un paese equidistante tra le parti).

Ma adesso, e soprattutto dopo Parigi, che succederà? A fatica il G20 che si è tenuto ad Antalya, in Turchia, ha indicato un percorso per affrontare la crisi siriana, e dunque il Daesh. La comunità internazionale aveva delegato all’Onu la gestione della crisi libica. Ora che è sotto gli occhi di tutti il fallimento delle Nazioni Unite, ci sarà un cambio di strategia? In questi mesi le uniche voci che si sono levate sono state quelle che delineavano scenari di iniziative militari. Dalle operazioni contro i trafficanti di “merce umana” anche sulla costa libica, al blocco navale.

Addirittura sembrava, prima dell’estate, che fosse imminente un intervento militare. Dopo Parigi, l’Europa dovrà prendere atto che Bernardino Leon ha fatto le valigie. Dovrebbe svegliarsi dall’incantesimo. Magari, l’Alto Rappresentante della Unione Europea, Federica Mogherini potrebbe anche battere un colpo. Sperando che non sia solo un colpo di tosse.

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