Kurt Cobain

Strana la storia dell’arte. Un artista poteva suicidarsi in preda ai fallimenti, mentre decenni dopo aveva le sue opere nei salotti bene, poi nei musei internazionali e sui libri di storia dell’arte. Senza contare certe battute all’asta milionarie. Ci sono artisti e scrittori, nei musei o nelle loro case museo, che oggi tramandano ai posteri anche i loro appunti, gli studi sulla figura o sui colori per i quali alcuni visitatori paganti alla fine restano un po’ delusi “perché c’erano poche opere”. Forse il mondo segreto di un cantiere creativo è troppo intimo per essere rivelato. O più per essere compreso? Al di là di questo la starità musicale, come anche quella cinematografica, ha anabolizzato il fenomeno con il marketing, facendo di ricordi e ninnoli mal piegati in un cassetto colossi commerciali.

Brett Morgen, autore dell’autorizzatissimo e acclamato documentario Kurt Cobain: Montage of Heck, tra il copioso materiale ritrovato in casa del leader dei Nirvana morto suicida a 27 anni, ha lavorato su 108 cassette, più di 200 ore di audio inedito inciso da Cobain stesso tra il 1988 e il ’92. Periodo iniziato con la convivenza della sua ex Tracy Marander e culminato unendosi a Courtney Love e dando alla luce Frances Bean. Il materiale, insieme a diari, disegni e video privati sta alla base del suo film. Adesso da una costola di quel lavoro esce Kurt Cobain: The Home Recordings. “Ho curato l’album per dare la sensazione all’ascoltatore di essere seduto nell’appartamento di Kurt a Olympia, Washington, alla fine degli anni Ottanta, testimoniando così la sua creazione”. Ha confessato Morgen al Guardian. “L’unica cosa che l’album non è – sostiene Morgen – è ‘scarti e materiali di scarto insignificanti’”. Critici i puristi invece, riconoscendolo come complemento sonoro al suo documentario, più che un concept album. Sta di fatto che la penna di Kurt su una cassetta ha scritto: Scarti insignificanti e materiale scartato. Ps: In nessun caso pubblicare dopo la mia morte. Firmato Cobain K”. Ma la frittata è fatta.

Aberdeen silura con un monologo sprofondato in racconti oscuri come il suo primo tentato suicidio, And I love her, cover dei Beatles, viene rivestita di un’inedita anima grunge, mentre The Yodel Song assembla vocalizzi e gorgheggi. You Can not Change Me / Burn My Britches / Something in the Way porta a Nevermind, ma anche a due omaggi ai Pixies. Demo per i Nirvana e rumori corporali spuntano quando meno te li aspetti, atmosfere bizzarre emergono anche tra Beans e Montage of Kurt, risposte al telefono che squilla, giochi vocali tra falsetti e posture baritonali. Questo solo in alcune delle 31 tracce in edizione Deluxe, chiusa da Do Re Mi (Medley), già apparsa nel 2004 in un’altra raccolta, With the Lights Out.

Tutte proto-canzoni, o proto-tracce con la stessa valenza semantica di cimeli e memorabilia come gli asciugamani di Elvis o i mocassini di Michael Jackson, o ancora le chitarre rotte di Hendrix e chi più ne ha più ne metta. Anzi, no. Chi non ne ha, non li avrà mai. In questo caso, invece, l’operazione rende tutto riproducibile all’infinito. Quindi disponibile in serie, acquistabile, o meglio, pop. Forse è proprio questo processo formale che scandalizza molti puristi.

Considerarlo bootleg del bootleg in solo-version, trovata spudoratamente commerciale con la scusa di musica da divano, o strumento indiscreto per l’approfondimento sull’autore rimarrà sempre e comunque decisione del fruitore. Sarà sacrilego, ma certe volte il marketing può avere la funzione dello scalaggio di sé stesso, come un metadone mediatico. Ma ci vogliono senno e educazione per un processo inverso, e molto equilibrio per il mantenimento: se l’operazione Montage of Heck può tornare utile a stimolare le nuove generazioni alla sete di conoscenza verso grande musica rock incisa oltre vent’anni fa, scollandole almeno per la durata di un album (non un’isolata traccia iTune) dal tragico epilogo dei talent-show, sapete che vi dico? Ben venga. Il salto della curiosità o della passione, a tutti i costi o meno, costituisce il contrappeso alla scelta assoluta del boicottaggio. Solo la non fruizione e il silenzio possono fermare, o quantomeno rallentare questi macrosistemi commerciali. Perciò chi è contro si tenga la pietra e non smuova l’aria, perché tutto il resto si trasformerà comunque in promozione.

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