La Jihad attacca di nuovo Parigi e detta così è detto poco. Dopo lo stupore e degli attentati perpetrati lo scorso gennaio – l’assalto a Charlie Hebdo, la strage all’Yper kosher – c’era stata la grande mobilitazione popolare contro il fanatismo e i fattori di radicalizzazione islamica. Siamo tutti Charlie, è stata allora la parola d’ordine. Gridata da quaranta capi di Stato, da milioni e milioni di persone. Una mobilitazione popolare vasta e rassicurante. Poi, col passare delle settimane, i sentimenti di indignazione e di impotenza si erano lentamente dissolti, lo Stato aveva varato un imponente struttura di sicurezza e prevenzione, e la grande paura pareva ormai un ricordo, sia pure penoso per il prezzo pagato, le vittime uccise in nome di un’intransigenza religiosa.

Invece, è stata solo una tregua. La Francia ha mandato i suoi Mirage a bombardare l’Isis. Si è esposta al rischio della vendetta jihadista. Che è arrivata puntuale. Salvo un dettaglio. Fondamentale, anzi fondamentalistico. Ossia con una dispiego di forze inaudito. La capitale francese è stata aggredita nel suo cuore, in modo mai visto in passato e altrove: decine di morti, un bilancio spaventoso. Di colpo, la Francia, e l’Europa scoprono la propria debolezza. Denunciano la propria ignoranza. Assistono ad una escalation imprevedibile. Impensabile. Preceduta dall’attentato all’aereo russo esploso sopra il Sinai.

L’Isis contro il mondo. Soprattutto, contro la Francia. Dove, peraltro, sta per nascere un partito islamico, moderato. Non tollerabile, questa intrusione politica in un territorio che sinora si è dimostrato fertile per il reclutamento e la militanza terroristica. Non da chi pretende di essere l’unica voce della rabbia dell’Islam. delle periferie. Delle generazioni di giovani che sono andati a rinforzare i battaglioni dei combattenti stranieri.

A Parigi stanotte si è assistito ad una prova di forza, spietata, ben articolata. Azioni da commandos nel cuore della capitale francese: obiettivi “facili”, inermi. Tecnica paramilitare. Sparano nel mucchio. Lasciano dietro una scia di sangue e di orrore. Urlano Allah è grande, perché chi sopravviva lo racconti, e diffonda terrore al terrore.

Un ristorante del X arrondissement, sventagliate di kalashnikov al Bataclan che si trova nell’XI arrondissement, sparatorie ed esplosioni allo Stade de France dove François Hollande assisteva all’amichevole tra la Francia e la Germania. Massacrare la gente e spaventare il presidente. Colpire orizzontale e colpire verticale. Messaggio: nessuno è più al sicuro. Siamo nell’ombra, sempre pronti a colpire. Per ogni nostro combattente caduto siamo pronti a mandarne altri dieci.

Gli obiettivi dimostrano che il salto di qualità della guerra che c’è tra Occidente e radicalismo islamico è un dato di fatto. Dobbiamo rassegnarci: siamo in stato di guerra, una nuova guerra che si combatte in Francia, che domani si combatterà in altri Paesi d’Europa. I flussi colossali ed incontrollabili dei migranti hanno messo in crisi il Vecchio Continente, dirottato parte delle sue capacità di prevenzione e sicurezza.
Gli apparati antiterrorismo, i servizi e l’Europol da mesi hanno alzato i loro livelli d’allarme. Ma ancora una volta si sono dimostrati inefficaci. Il problema è che le azioni di venerdì sera sono ben altra cosa della strage a Charlie Hebdo. Il settimanale satirico era un obiettivo annunciato.  Gli attentati di ieri hanno avuto una sola logica, quella di seminare morte e suscitare la reazione della gente. Provocare una crisi politica, obbligare l’Eliseo a scelte illiberali. Alzare muro contro muro.
L’insolenza dell’attacco allo stadio è un segnale per irridere alla superiorità tecnologica e allo strapotere dell’Occidente. E’ facile immaginare come sarà Parigi da stamani, al suo risveglio, attonita, stupefatta, incazzata. Occhio per occhio e dente per dente, chiederanno i demagoghi e le destre.
Pane per l’Isis, che vuole proprio questo. La proditorietà della lunga notte di venerdì 13 novembre, in termini di prestigio, per il califfato e i suoi seguaci è inestimabile.
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