Il pronunciamento del Tribunale del Riesame, che il 31 ottobre scorso ha in buona parte smontato l’inchiesta della Dda di Firenze sui rapporti tra il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona e il costruttore Andrea Bulgarella, non ha placato la burrasca che scuote la prima banca italiana e la società Aeroporti di Roma (Adr), di cui Palenzona è presidente. I fatti portati alla luce dalla procura fiorentina guidata da Giovanni Creazzo, indipendentemente dalla loro rilevanza penale, disvelano modalità operative discutibili ai vertici dei due gruppi. E continuano a scuotere i rispettivi vertici.

Il numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, deve fare i conti con le polemiche dimissioni del sindaco revisore Giovanni Battista Alberti, che dimostrano che il caso non è chiuso. Mentre in Adr Palenzona deve fare i conti con l’irritazione dell’azionista di controllo. Il messaggio di Gilberto Benetton è stato chiaro: ti siamo grati, certo, ma non temiamo il tuo potere. Ed è un messaggio che segna ufficialmente un indebolimento del presidente di Aeroporti di Roma. A essere colpito, infatti, non è lui direttamente ma il suo braccio destro Roberto Mercuri. Benetton, che controlla con il 95 per cento Adr, società che gestisce gli scali romani di Fiumicino e Ciampino, nei giorni scorsi ha fatto chiedere a Mercuri le dimissioni volontarie e immediate, lasciando intendere che l’alternativa sarebbe stato il licenziamento per giusta causa. A poco è servita la resistenza tentata da Palenzona in difesa del suo assistente personale e del suo ricco stipendio in Adr (poco meno di 300mila euro) come dirigente dei rapporti istituzionali.

La mossa dei Benetton – per quanto risulta al Fatto – scaturisce da tre motivazioni. La prima, più concreta: liberarsi di un dirigente costoso che veniva pagato da Adr ma – s’è scoperto con l’inchiesta dell’antimafia fiorentina – lavorava, pur non avendone titolo, anche per Unicredit. La seconda: dati i clamori dell’indagine, la presenza di Mercuri in Adr ai Benetton portava solo ritorni negativi d’immagine.

L’ultima è una motivazione più politica: un secco segnale a Palenzona, che tanto ha fatto in questi anni per il gruppo di Ponzano Veneto, anche come presidente dell’Aiscat (associazione delle concessionarie autostradali), spendendo i suoi ramificati rapporti politici per garantire sempre ad Autostrade per l’Italia i ritocchi dei pedaggi desiderati. Come dire, appunto, caro Palenzona ti siamo grati, sì, ma non temiamo il tuo potere. L’allontanamento di Mercuri, infatti, segnala un irreversibile deterioramento del rapporto tra i Benetton e il loro lobbista di fiducia: sui suoi poteri e su come li esercita dentro Adr è stata avviata anche un verifica interna. Mercuri si è dimesso 7 giorni fa. Ma le grane per Palenzona non finiscono qui.

Mercoledì, annunciando il nuovo Piano industriale, Unicredit ha reso note anche le dimissioni di Giovanni Battista Alberti, membro effettivo del collegio sindacale eletto su indicazione del terzo azionista del gruppo, la Fondazione Cariverona, avvenute lunedì per – riportava la banca – “sopraggiunti motivi di dissenso personale con l’organo di governo”. Una formula che però non è contenuta nella lettera d’addio del commercialista veronese. A precisa domanda se le dimissioni c’entrassero qualcosa con l’inchiesta fiorentina – che oltre a Palenzona vede indagati anche due alti dirigenti della banca – l’amministratore delegato, Federico Ghizzoni ha risposto velenosamente: “Sono arrivate senza preavviso, dopo che il collegio sindacale a margine del consiglio ha approvato il fatto che non c’erano casi di mismanagement o misconduct”, e “il collegio si esprime sempre all’unanimità”. Come dire: se era in disaccordo non ce l’ha detto.

Una lettura smentita seccamente da Alberti al Fatto. Premessa: il consiglio è quello del 31 ottobre, quando, dopo una riunione del comitato di governance e del cda, la banca ha preso atto con soddisfazione dell’esito del riesame e ribadito che dalle verifiche (audit) interne non erano emerse irregolarità sulla pratica Bulgarella, e questo perché le presunte pressioni di Mercuri sui manager non avrebbero sortito effetti visto che comunque non erano andate a buon fine. “Quelle di Ghizzoni sono dichiarazioni che non rispondono a verità – spiega Alberti al Fatto – Il collegio sindacale non ha mai dato nessun parere sulla questione, e non c’è stata nessuna sua pronuncia, che peraltro non gli è stata richiesta. Io, personalmente, sono intervenuto per dichiarare il mio disappunto per come era stata gestita la cosa”. Disappunto che dovrebbe risultare dal verbale stilato al termine della riunione.

Ieri Unicredit è stata bersagliata dalle vendite in Borsa, chiudendo – dopo essere stata sospesa per eccesso di ribasso – con un tonfo del 5,49 per cento. A trascinare giù il titolo i timori degli analisti sulla tenuta degli obiettivi del piano, che prevede al 2018 di distribuire agli azionisti dividendi pari al 40 per cento dei 5,3 miliardi di utili netti.

Da il Fatto Quotidiano di venerdì 13 novembre 2015

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