C’è una donna in Italia che vaga da due anni per i cimiteri nella speranza di riconoscere la madre. Sa che è morta, ma non conosce il suo nome. Guarda le foto sulle tombe e cerca di cogliere una somiglianza o qualsiasi altro indizio. Questa donna si chiama Monica Rossi ed è socia cofondatrice di Faegn, l’associazione di figli adottivi e genitori naturali. Nel nostro Paese sono circa 400mila le persone che dagli anni Trenta in poi hanno chiesto di conoscere il nome della propria madre biologica. Non sarà possibile prima di cento anni. Così dice la legge. Ferma in Senato, però, c’è una proposta di modifica che introduce la possibilità per un figlio di accedere a queste informazioni. Stessa strada seguita da una sentenza della Corte costituzionale alla quale, però, non tutti i Tribunali si stanno adeguando. A queste persone, ai ‘fratelli di culla’ è dedicato il progetto cinematografico di Giorgio Cingolani, già regista del documentario Hotel House.

CROWDFUNDING PER IL FILM – Tra pochi giorni sarà attiva sulla piattaforma www.produzionidalbasso.com una campagna di crowdfunding per finanziare il film, mentre il promo è già disponibile su YouTube e su un profilo Facebook aperto ad hoc, I colori del vuoto-Il film. “Il film si concentra su un personaggio principale interpretato dall’attrice Simona Lisi – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it il regista – partendo dalla persona adottata per poi raccontare i vissuti dei genitori biologici e di quelli adottivi”. La pellicola trae spunto liberamente dal libro I colori del vuoto, edito da Liberedizioni e curato da Ramona Parenzan, figlia adottiva, che è co-autrice della sceneggiatura, oltre che ideatrice del progetto cinematografico. “Raccontiamo il tentativo di una donna di costruire un rapporto con la madre biologica ritrovata dopo affannose ricerche” spiega Cingolani. La protagonista scoprirà che la realtà alla base del suo abbandono è molto differente da come per anni se l’era immaginata.

IL VETO DEI CENTO ANNI – In Italia la legge sulle adozioni non consente ai figli di conoscere il nome della mamma biologica. La norma sulla privacy, invece, blocca l’accesso per 100 anni equiparando l’informazione a quella di una cartella clinica. Cento anni, una beffa. Per consentire il ‘diritto alle origini’ la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura e trasmesso al Senato le modifiche all’articolo 28 della legge 149 del 2001. Due le principali novità per chi è stato adottato, ma non riconosciuto alla nascita. Una volta maggiorenni si potrà accedere ai dati della madre in caso la donna sia morta o abbia revocato la volontà di rimanere anonima. Se la madre naturale non rinuncia all’anonimato, il figlio potrà ottenere alcuni dati sanitari, ad esempio sull’esistenza di malattie ereditarie trasmissibili. Il testo è fermo in Senato e aspetta di essere calendarizzato in Commissione Giustizia.

LA BATTAGLIA DEL COMITATO – Tra le associazioni che in Italia conducono questa battaglia c’è il Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche. “Sapevo già di essere stata adottata quando mi fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin” racconta Anna Arecchia, presidente del comitato. Era il 2005, Anna aveva bisogno di un trapianto, ma la necessità di conoscere i genitori biologici si scontrò con la decisione dei giudici del Tribunale di Napoli. La richiesta fu respinta. Lei guarì e da allora conduce la sua battaglia. Insieme a Stefania Stefanelli ed Emilia Rosati è autrice del libro Il parto anonimo (Artetetra Edizioni), che affronta il tema sotto tre aspetti: giuridico, psicologico e sociale. “Dopo sette anni di lavoro, lancio un appello alla Commissione affinché il testo non si fermi proprio ora” dice il presidente.

LA SENTENZA 278 DEL 2013 – Nel frattempo, una sentenza del novembre 2013 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’anonimato a vita, fortemente sbilanciato a favore della madre. Secondo i giudici è possibile interpellare la madre biologica per chiederle se voglia o meno rimuovere l’anonimato. “Ci sono molte donne che 50 anni fa non avrebbero potuto mantenere un figlio, che credono di aver fatto un errore, che vorrebbero ma non possono cercare alcun contatto” spiega Anna Arecchia. Il punto è che non in tutti i Tribunali si sono adeguati a questa sentenza. Lo sa bene Monica Rossi. Un giorno, a Torino, un giudice le disse: “Lei ha fatto istanza, per la seconda volta…Noi abbiamo seguito la nuova procedura decisa dalla Corte Costituzionale, abbiamo aperto la busta e rintracciato sua madre”. Finalmente era sul punto di conoscere quel nome. Ma il giudice continuò: “Poi abbiamo richiuso la busta: è morta da 10 anni”. Tutto crollò in quell’istante. E da allora Monica la cerca. Nei cimiteri.

COLORI DEL VUOTO – La storia di Monica è tra quelle raccontate nel libro I colori del vuoto, curato da Ramona Parenzan. “Con mia mamma adottiva giocavo spesso a nascondino – racconta a ilfattoquotidiano.it – perché volevo essere cercata, volevo mancare a qualcuno”. Ramona vive a Brescia ed è sempre stata attratta dalla cultura rom. La gestualità, i film, la musica. “Cantavo le canzoni di Bregovic, sentivo forte di essere slava e rom e così ho iniziato ad andare spesso nei Balcani”. Poi un giorno era a Novi Beograd, in un appartamento dove tutti parlavano un’altra lingua: “Mi era così familiare ed ebbi la sensazione di essere finalmente ‘a casa’. Mi affacciai alla finestra e mi misi a piangere”. Ramona Parenzan ha ritrovato la madre biologica solo di recente “grazie a una sua amica che ha visto una mia foto pubblicata su Facebook”. La donna vive a Torino, ma non è slava. “Lo è mio padre – racconta Ramona – e lei me lo ha svelato dopo un mese dal nostro primo incontro. La terza parte di me appartiene a quell’uomo assente”. “Quell’uomo medusa – scrive nel libro – che mi tiene aggrappato a sé da una vita”.

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