Burocrazia

Ho una suocera novantenne residente in Toscana ma che da qualche mese è presso di noi a Milano. Accortisi che la sua carta d’identità è scaduta mi documento su internet e scopro che (pregevolmente) è rinnovabile anche fuori dal comune di residenza. Dato che la signora non ha una salute di ferro mi reco alla più vicina sede periferica del Comune, dove mi viene spiegato che, dato che occorre chiedere nullaosta al Comune di residenza, la pratica può essere fatta solo alla sede centrale di via Larga.

“Accidentaccio”, mi dico, “conoscendo quella sede ci saranno da fare file interminabili”; dato però che la cosa è ineluttabile mi armo di pazienza e mi reco in via Larga. Faccio una prima brevissima fila al banco informazioni dove mi confermano che forse si può fare ma che devo andare all’altro banco informazioni, dall’altra parte dell’edificio; chiedendomi come mai nell’era dei computer non si possa tirare una linea interna da una postazione all’altra e renderle entrambe in grado di stampare le stesse cose, deambulo all’altro banco dove (senza fila) molto gentilmente mi ascoltano e mi confermano che la cosa si può fare “anche in una qualsiasi sede periferica del Comune”. Obietto che proprio in una (comoda) sede periferica mi hanno detto che non è possibile, al che l’impiegato domanda alla collega “come mai nella sede di… non conoscono le regole”? Dopo un conciliabolo tra loro, però, convengono che la pratica di nullaosta può essere espletata solo dalla sede di via Larga (perché? Mi domando) e mi chiedono se la signora può muoversi. Rispondo di sì, ma che per lei sarebbe un problema farsi una fila di ore seppure seduta, al che mi viene detto che per gli anziani esiste una “procedura di cortesia” che accorcia le code; “ragionevole”, mi dico, ma poi devo ricredermi quando mi viene detto che la procedura non si applica ai non residenti; qui ho un attimo di sconcerto perché per me un anziano non residente, se deve comunque accedere a un servizio del comune di Milano dovrebbe essere trattato come un anziano residente, a meno che a un anziano siciliano o toscano non vengano attribuite risorse fisiche che un milanese non ha.

Comunque il banco informazioni mi consiglia di “portarmi avanti” con la procedura e di cominciare a fare la richiesta di nullaosta; allo scopo mi viene stampato un biglietto D07, per l’attesa nel salone dell’anagrafe; “per questo servizio non c’è mai molta coda” mi dice l’impiegato e in effetti sul bigliettino leggo. Clienti in attesa: 2. Mi accomodo fiducioso, pensando che anche se ho un impegno più tardi dovrei farcela per tempo; dopo 1/2 ora di attesa e notando che nessuno sportello sta elaborando una pratica “D” chiedo a uno sportello libero come funzioni la cosa, con il dubbio che forse avrei dovuto andare nell’altro salone; “no”, mi viene risposto la sala è questa, “evidentemente ci sono utenti prima di lei”.

Dopo un’altra 1/2 ora disdico per telefono l’appuntamento che avevo e torno al banco informazioni per chiedere che ne è degli utenti con pratiche “D”; finalmente scopro l’arcano, perché l’impiegato (nuovo) mi informa che non ci sono code diverse per pratiche diverse ma che c’è un calderone unico nel quale si finisce in coda. “Porca miseria”, dico, “ma allora potrei avere davanti 50 persone, non due?”. “Eh si” mi risponde l’impiegato. Allora chiedo come si faccia a protestare per questa inefficienza per la quale uno viene illuso di attendere pochissimo e quindi conta di rispettare i propri impegni della giornata mentre invece lo attende una coda imperscrutabile e mi viene detto di andare all’ufficio 19, dal responsabile; ci vado, spiego la cosa e l’impiegata, leggermente seccata, mi dice che le mie rimostranze devo farle per scritto; chiedo se c’è un modulo, lei lo cerca, non lo trova, chiede consiglio a un collega che conclude: “Non li abbiamo più, deve andare all’ufficio protocollo”.

Proseguo nel corridoio e trovo l’ufficio protocollo; busso, entro e spiego il problema; l’impiegato mi chiede: “Hanno detto questo ufficio protocollo?”. Rispondo che l’indicazione era generica e lui mi accompagna fuori dicendo: “Deve andare al banco informazioni”. Dico: “Da lì mi hanno mandato all’ufficio 19 e da lì al protocollo; secondo lei devo ricominciare da capo?” Si offende un po’ e mi affida a un’altra impiegata che passa in corridoio dicendo (testuale): “Parli con lei che è più educata di me”. “Di sicuro”, dico e chiedo alla collega che mi indirizza all’altro banco informazioni, il primo che avevo visitato e che mi aveva rinviato al secondo banco. Qui giunto faccio una piccola fila e quando viene il mio turno vedo che al banco ora ci sono due impiegati che avevo incontrato all’altro banco informazioni (il secondo); penso tra me che gli impiegati sono intercambiabili e quindi l’abilitare un banco a certe operazioni e non ad altre è solo un problema di sistema informativo (Sigh! Nel 2015) e poi spiego che voglio fare un reclamo e che cerco il modulo. L’impiegato prima mi chiede: “Non è andato alla stanza 19?”, poi, dopo spiegazione, mi consegna il modulo e un (sinistro) bigliettino che riporta: “Prcc092R – Clienti in attesa: 28”. “Cioè”, dico, “ mi sta dicendo che per protestare per una coda fatta in maniera assurda per mancanza delle informazioni corrette, dovrei fare un’altra coda forse più lunga?” “Eh già”, mi risponde sorridendo (colgo un filo di empatia), “cosa credeva…” Poi però ha un lampo di genio e mi dice: “Però lo può mandare per posta”. “Bene, dico, mi dia l’indirizzo”. Lo cerca; non lo trova; si consulta con il collega che gli dice che i reclami per posta non si inviano più ma che si possono inoltrare o all’ufficio protocollo (utenti in attesa: 28) o sul sito del Comune di Milano all’indirizzo: www.comune.milano.it sezione “contattaMi”.

Dopo un ora e 20 minuti, senza avere concluso niente e disdetto un appuntamento, esco dall’edificio di via Larga; mi vengono in mente un fumetto e un film; il fumetto è ‘Le 12 fatiche di Asterix’ nel quale 30 anni fa Goscinny e Uderzo si prendevano gioco della burocrazia italiana; Asterix e Obelix dovevano riuscire a farsi rilasciare il lasciapassare A38 e compivano un Odissea all’interno della “casa che rende folli”; il film è ‘Prova d’orchestra‘ di Fellini e la scena che mi è tornata alla memoria è quella finale, nella quale un’enorme palla demolitrice sfonda rovinosamente il muro della sala; confesso di avere sentito desiderio di quella palla, con aggiunta di ruspe per portare via anche le macerie.

Nel risalire sullo scooter penso: “Va bene fare a Milano il polo dell’eccellenza della tecnologia, ma prima rendere un minimo logici sistemi informativi, informazione agli utenti e burocrazia del Comune no?”

E in via larga dovrò tornarci, questa volta con la suocera 90enne; chissà cosa ci aspetta.

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