Addentrandosi nel nucleo storico di Bacoli, centro costiero dei Campi Flegrei, una strada in salita subito dopo la chiesa parrocchiale conduce verso la parte più alta della punta del Poggio, ultima propaggine della costa prima di capo Miseno, termine del golfo di Napoli a settentrione.

Tra squarci che aprono la vista al mare, alle baie che esso incide nei banchi di roccia e alle isole di Procida – vicinissima – e Ischia, tra vecchie case, antichi orti e nuove villette si incontra un muro recente in pietra di tufo. Completamente cieco, a parte pochi fori sull’attacco a terra, seguito dalla strada per decine di metri, prima ad occidente poi a meridione, lascia intuire che cinge un volume di forma rettangolare; a questo, sul lato settentrionale, lungo uno sterrato sono addossati i resti di dodici antichi ambienti voltati, separati da contrafforti.

L’unico varco, chiuso da un cancello sull’angolo nordovest, lascia intravedere una piccola porta. Oltre la soglia, lasciatasi alle spalle la luce del giorno, una scala intagliata nella roccia vulcanica conduce ripidamente in un’altra dimensione spaziale e luministica. Dopo appena qualche gradino ci si trova in uno degli interni più spettacolari dell’antichità, la cosiddetta Piscina Mirabilis.

Allo sguardo di chi entra si presenta un vuoto, profondo come un edificio di tre piani, invaso da una selva di piloni, sui quali poggiano archi e volte. La luce piove dall’alto, prima debolmente poi quando la vista si abitua alla differente luminosità ritma lo spazio con cadenza rapsodica.

Quarantotto piloni in tufo a pianta cruciforme dividono lo spazio scavato nel tufo in cinque navate longitudinali e tredici trasversali. Le due navate sui lati lunghi, più esterne, sono coperte da volte a botte longitudinali; sulle altre tre, interne, le volte a botte sono disposte in senso trasversale, con effetto stabilizzante dell’intera struttura.

Il piano della navata centrale trasversale è ribassato di circa un metro e mezzo in modo da formare una vasca limaria, per la decantazione e rimozione dei detriti dopo lo svuotamento.

L’azione del tempo in più punti ha scarificato le superfici murarie mettendone a vista la consistenza composita in più strati: lo scavo nel banco di tufo, i tufelli squadrati, la griglia dell’opus reticolatum, l’intonaco e il pavimento in signino.

Camminando tra i piloni, sotto gli archi e le volte traforate dalla luce si può perdere l’orientamento per qualche attimo e vagare in ogni direzione, sentendosi come trasportati in una dimensione onirica. Le membrature dalle dimensioni grandiose si ripetono ossessivamente, la luce è irreale, i suoni, i rumori, le voci che si riflettono sulle pareti e sulle volte, rivestite degli antichi intonaci impermeabili in cocciopesto, producono echi sordi, modificando continuamente la percezione dello spazio.

L’antica struttura, una cisterna realizzata in età augustea probabilmente per l’approvvigionamento di acqua potabile della flotta romana di stanza nel vicino porto di Miseno, lunga oltre settanta metri per oltre venticinque di larghezza, poteva contenere diverse migliaia di metri cubi di acqua proveniente dalle fonti del Serino, distanti un centinaio di chilometri.

Esaurita la sua funzione originaria il manufatto è diventato secoli dopo fruibile, abitabile. Oggi ci muoviamo dentro questo spazio, lo attraversiamo, come fecero solo i suoi costruttori (e naturalmente i manutentori), prima che il volume fosse riempito dall’acqua.

Non avendo più alcuna funzione, espone sé stesso, è uno spazio per la contemplazione che, in un certo senso, emana sacralità. Come un tempio. E in un tempio, la divinità non è presente, è lo spazio che la evoca.

Nella Piscina Mirabilis l’acqua non c’è, lo spazio la evoca; e quella che era una cisterna è oggi come un tempio dell’acqua.

Nel cuore dei Campi Flegrei – terra frequentata dai viaggiatori del Grand Tour, terra di crateri vulcanici divenuti laghi, bacini marini, oppure riempiti dalla vegetazione o dalle case, terra di antiche terme, ville, templi, miti e divinità – la Piscina Mirabilis è un “interno assoluto”, cioè uno spazio quasi privo di una sua immagine che lo rappresenti all’esterno, e comunque affatto lontana dal rappresentarne la potenza. Uno spazio che per questo sorprende chi vi entri, allo stesso modo in cui doveva accadere nell’antichità a chi entrasse nel Pantheon a Roma, come John Bryan Ward-Perkins immaginò nel suo Architettura Romana.

Piscina Mirabilis, come uno scrigno, conserva non altro che un grande spazio invisibile, neppure immaginabile dall’esterno, e la sua speciale atmosfera; custodisce intatto il senso più profondo di tante altre rovine che riescono solo, in quanto frammenti, ad alludervi. Uno spazio tecnico, infrastrutturale non pensato per esser visto, di una bellezza non intenzionale, non cercata per incantare un pubblico da chi lo costruì, che con spontaneo rigore diede semplicemente forma alla “volontà di un’epoca”.

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