Posto che il coltello resta lì, ogni volta, ben visibile, con impronte chiare, sul cadavere (politico), urge chiedersi quanti coltelli abbia Matteo Renzi. E chi sarà il prossimo a finire sotto la sua lama.

Renzi 675

All’inizio c’è Letta. “Enricostaisereno” è l’alba della nuova politica, contiene già tutto: l’arroganza, la determinazione, il tradimento. Dice il carattere dell’uomo. Mostra. Dopo non c’è che il logico – consequenziale – sviluppo di un temperamento, di un’attitudine al crimine (politico).

Coltelli e sangue. Anche – forse dovrei scrivere: soprattutto – quando ad essere ferita a morte è la Costituzione, è ben chiaro l’intento di limitare la libertà, la democrazia, il diritto di voto dei cittadini. Un assassinio (politico) dei diritti del demos.

Non c’è azione di Renzi che non vada nella direzione di un rafforzamento dell’esecutivo, dunque del suo potere, a discapito di tutto il resto. Ogni atto e parola sono finalizzati a questo scopo. Il partito sono io. La politica sono io. Lo Stato sono io. I corpi intermedi, i sindacati: roba d’altri tempi; la vita dei lavoratori: questione d’altri tempi; il pluralismo televisivo: sofismi d’altri tempi; l’autonomia della magistratura: ancora con Montesquieu!

Ogni volta che Renzi si muove è un delitto. Sta distruggendo la Costituzione, il Parlamento, il Pd, la democrazia. Cosa resta della democrazia, quando, in un sol colpo – liquidando il sindaco di Roma – si cancellano i risultati delle primarie e delle elezioni amministrative; quando il Consiglio comunale è evitato come la peste perché le decisioni sono state prese altrove, nel salotto di un appartamento privato, in diretto contatto telefonico col Premier.

Solo Stefano Folli, con l’incredibile “candore” che caratterizza i suoi pezzi, poteva scrivere che nella vicenda romana il Premier si è defilato (avete letto bene): “Lo stesso Renzi, che fin qui si è defilato, adesso è atteso a una prova di leadership” in una crisi “che non riguarda solo un sindaco inadeguato”. Le parole hanno un significato preciso tramandato dai vocabolari: Folli dovrebbe spiegare in che senso il Premier si è defilato, visto che ha diretto, ordinato, imposto: è lui che ha deciso l’agenda della questione Marino (a Orfini: “O va via lui, o vai via tu”). Che giornalismo è quello che nega l’evidenza dei fatti?

Matteo Renzi ha voluto il cadavere (politico) di Ignazio Marino, e l’ha ottenuto. Il mandante ha commesso in itinere una serie di atti riprovevoli: occultamento della democrazia; abuso di potere; ricatto (quanto sono stati liberi i Consiglieri comunali nelle loro decisioni?); eccetera. Ma tutto, insieme all’assassinio del sindaco, viene perdonato dai giornaloni che lo sponsorizzano. Perché?

Qualche storico racconterà, un giorno, le vicende di questi anni: si vedrà – documenti alla mano e con lo sguardo lungo della Storia – che il “sindaco scomodo” non piaceva al Vaticano (“insiste troppo su l’Imu e i matrimoni gay”), alla destra più becera, alla politica corrotta, alla malavita che lucrava nel malaffare (“il Marziano ci taglia i viveri”). Che Renzi abbia deciso di polverizzarlo è solo la conseguenza – necessaria – di un accerchiamento. Il delitto andava commesso.

Un ulteriore dato va aggiunto per completare il quadro: il regista – l’uomo che ti uccide sorridendo – stavolta non ha agito da solo. E’ più corretto parlare di mandanti (al plurale); Renzi ha percepito un sentimento diffuso: Ignazio non piaceva a molti, anche a qualcuno – innominabile – che sta troppo in alto. Chi sarà il prossimo? Di quanti coltelli dispone ancora il Premier? Quando li userà? Contro chi? Quanto resisterà il futuro sindaco di Roma se non piace al Vaticano? Infine: quanto potrà sopravvivere la nostra democrazia alle ingerenze che da più fronti – opposti e convergenti – l’accerchiano?

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