Oggi ospito un articolo del dott. Renato Pugno su un tema di grande attualità: la corruzione e la produttività delle opere pubbliche in Italia. Da un’angolatura inusuale ci viene fornita una valutazione del grave fenomeno che sta attanagliando il Paese. Renato Pugno è laureato in Economia alla Bocconi di Milano ed esperto internazionale di valutazione economico-finanziaria delle opere pubbliche.

In Italia la produttività nella realizzazione delle opere pubbliche, cioè la capacità che l’opera ha di far aumentare il Pil, è stata negli ultimi decenni nulla o addirittura negativa. I recenti e ripetuti casi di corruzione diffusa sono indicati da quasi tutti come la principale causa di questi negativi risultati in materia di realizzazione delle infrastrutture. Questa spiegazione nasce principalmente da esigenze mediatiche e politiche, ma non indica e spiega invece quale è la causa principale dei risultati negativi nella realizzazione e gestione delle opere pubbliche.

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Il fenomeno corruttivo in Italia esiste ed è da sempre diffuso (come del resto in quasi tutti i Paesi) ma tale fenomeno è in Italia particolarmente aumentato con la crescita del welfare State negli ultimi decenni. Questo perché si sono trasferite progressivamente rilevanti risorse dal settore privato al settore pubblico, aumentando così le occasioni di corruzione. Tale fenomeno, però non è la principale causa della mancata crescita economica, ma al contrario è probabilmente l’effetto considerando quali sono le cause della mancata produttività delle opere realizzate in Italia. Due sono le principali cause della mancata produttività in termini di Pil: la scelta e valutazione con criteri ed obiettivi sbagliati e la bassa qualità della “progettazione” così come è intesa a livello internazionale.

Per la società italiana (Politici, Alta Amministrazione, Sistema imprenditoriale, Sistema accademico e media) fa molto comodo non affrontare le cause vere dei pessimi risultati in materia di spesa per le opere pubbliche, ma invece attribuire questi risultati ad un fattore che sarebbe la specificità italiana: la corruzione diffusa. Si evita così di affrontare la vera specificità italiana: i disastrosi risultati in termini economici della stragrande maggioranza delle grandi opere realizzate. Non esistono in altri Paesi esteri risultati di questo tipo continui e di vaste dimensioni. Si pensa quindi che combattendo la corruzione si potranno realizzare opere economicamente sostenibili, in grado cioè di far crescere il Pil e non distruggerlo come avviene in Italia. E’ vero invece il contrario: se un’opera non ha basi di fattibilità economica difficilmente la sua realizzazione sarà immune da fenomeni corruttivi.

I motivi principali del perché in Italia non si vuole prendere atto delle vere cause dei pessimi risultati in materia di opere pubbliche, sono sostanzialmente due: la scarsa cultura (e soprattutto lo scarso interesse per gli aspetti economici) e il rifiuto di rendere atto e coscienza che non è più possibile procedere scegliere e valutare opere pubbliche prescindendo totalmente dagli aspetti di fattibilità economia. Questo fino a ieri è stato possibile grazie alla possibilità di aumentare il debito pubblico, le tasse e la svalutazione monetaria. Questo oggi non è più possibile. Non è più possibile continuare nello sperpero di risorse pubbliche senza compromettere il mantenimento del welfare State. Il problema che pochi, anzi pochissimi, si sono resi conto di questo e su questa materia esiste un imbarazzante “assordante silenzio”. Il welfare e soprattutto la sua estensione è incompatibile con la inefficienza/efficacia della spesa pubblica, inclusa soprattutto la spesa per investimenti. La diversità fra “l’Europa mediterranea” e “Europa del Nord” nasce proprio da questa differenza.

A questo proposito il caso dell’Alta Velocità in Italia è emblematico e significativo. Si è parlato molto a questo proposito della corruzione per il caso di Ercole Incalza indicando come i pessimi risultati in termini di costi siano imputabile alla corruzione. Pochi, per non dire nessuno, hanno rilevato che la cosa più scandalosa non è tanto la corruzione, ma il fatto che si siano impegnate rilevantissime risorse pubbliche per un’infrastruttura che non ha basi di fattibilità economica e che, comunque, interessa una percentuale modestissima della domanda di mobilità. Il progetto dell’Av, infatti, ha impegnato un ammontare di risorse pubbliche pari a 36,5 miliardi di €, per un costo medio di 62 milioni di euro al km, cioè una buona parte delle risorse pubbliche destinate ad investimenti. Tale investimento interessa non più del 5% della domanda di trasporto ferroviario. Non solo, ma l’ammontare delle risorse pubbliche investite nel progetto a fondo perduto equivale ad un contributo (sussidio) che gli italiani pagano per ogni passeggero sulla tratta Milano-Roma di circa 95 euro per viaggio. Considerando il fatto che l’alternativa aerea su tale tratta non solo non è sussidiata ma è generatrice di utili e quindi di tasse, ne deriva che l’aggravio per la finanza pubblica è stato disastroso. La cosa che interessa e preoccupa di più gli addetti ai lavori in Italia è la corruzione e non la redditività dell’opera che s’intende realizzare. Quelli che dovrebbero essere gli “anticorpi”, come dice Cantone, e cioè i media e le Università, sono stati e sono assolutamente silenti!

Non solo si sono realizzate opere economicamente improduttive e a discapito di altri settori (in quello ferroviario è rimasto indietro il trasporto regionale), ma si sta pensando anche estenderla ulteriormente! Il caso della nuova tratta AV da Brescia a Verona- Venezia, Napoli-Bari ed altre possono spuntare da un momento all’altro. Ogni Comune di una certa importanza vuole la stazione dell’AV e anche un aeroporto! E’ significativa la scarsa eco in Italia delle severe critiche sviluppate in Francia (dove un km di AV costa un terzo in meno che in Italia), il primo Paese in Europa che ha adottato la AV, dalla “Courte de Comptes” all’estensione dell’AV in Francia.

Ed ancora, lo stesso movimento no Tav si oppone alla realizzazione dell’AV per motivi principalmente ambientali, non per motivi economici. Sono pochi a sostenere che non è tanto la connessione Torino-Lione che non si deve fare ma soprattutto la estensione della AV non si deve fare perché economicamente non produttiva.

La consolidata prassi italiana non sceglie e valuta sulla base di criteri economici, ma solo sulla base di criteri non economici: politici, d’interesse delle lobbies, elettorali e clientelari. I politici non vogliono comprendere i criteri economici, ma soprattutto non sono disponibili a ridurre il loro potere di scelta e di promessa. Infatti l’utilizzo di criteri economici, indubbiamente riduce o limita enormemente il potere discrezionale della politica. Si tratta di un potere enorme; si tratta cioè d’indirizzare senza adeguati controlli di merito le risorse pubbliche su commesse e su soggetti imprenditoriali (spesso gli stessi) senza verificare la loro utilità/redditività. Il ricorso alla gara non è che una copertura in quanto al soggetto politico non interessa scegliere la migliore opera pubblica e realizzarla nel minor tempo ed al minor costo. Questo può avvenire perché i soggetti che dovrebbero controllare le scelte, la stampa ed il mondo accademico/universitario, non dispongono delle competenze tecniche ed economiche per segnalare come e perché le opere progettate e soprattutto realizzate non contribuiscono alla crescita del Pil ma alla sua distruzione.

Renato Pugno

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