catalogna 675Cinque spunti per provare a spiegare il clima che si respira nelle ultime settimane in Catalogna:

Primo: le formazioni indipendentiste, “Junts pel Sì” (coalizione degli ex moderati di Convergència di Artur Mas e di Esquerra Republicana, la sinistra repubblicana) e Cup (Candidatura d’Unitat Popular, la sinistra anticapitalista), che nelle recenti elezioni per il rinnovo della “Generalitat”, il Parlamento regionale, hanno conquistato 72 seggi (di cui 10 di Cup) sui 135 disponibili, stanno trattando – hanno tempo fino al 9 novembre per raggiungere la maggioranza assoluta – per un accordo sul nome del President, il Governatore.

Nell’attesa che si chiuda l’ultimo arco del cerchio, gli indipendentisti danno alla Spagna, e alla comunità internazionale, un segnale forte: una mozione comune – rigorosamente in catalano – perché l’assemblea parlamentare dia l’avvio al processo per l’indipendenza.

L’estat català independent en forma de república” (lo Stato catalano indipendente in forma di repubblica) è proclamato, con formula asciutta ma solenne, al secondo punto della proposta congiunta.

Il sesto paragrafo dell’atto parlamentare dà la cifra dello scontro istituzionale in essere: il nuovo Parlamento – recita il testo – e il processo di disgregazione democratica (la desconnexió, come la chiamano i separatisti) non accetteranno il vaglio delle istituzioni centrali, il richiamo espresso è alle risoluzioni del Tribunale Costituzionale.

Insomma: quando la mozione sarà approvata in Parlamento, le sentenze della Corte di Madrid, che da sempre reputano il processo separatista contrario alla Costituzione, saranno poco più che “cartastraccia” in terra catalana.

Secondo: Carme Forcadell, filologa eletta nella lista “Junts pel Sì”, neo – presidente della Camera catalana anche con i 5 voti di Podemos, ha chiuso il suo discorso d’insediamento proclamando con voce ferma: “Visca (Viva) la República catalana!”.

Terzo: il presidente di Fomento del Trabajo, la più rappresentativa confederazione industriale regionale, Joaquim Gay de Montellà, vede con preoccupazione la crescente radicalizzazione del clima politico e istituzionale. La mozione degli indipendentisti mancherebbe di concretezza e, secondo il capo degli industriali, altro non farebbe che scoraggiare gli investitori stranieri i quali, invece, in Catalogna devono poter trovare uno stato di benessere e di ordine istituzionale.

Quarto:Adiós, Artus Mas” titolava El País in un editoriale di pochi giorni fa. L’abbraccio di Mas con l’estrema sinistra anticapitalista viene letto come decisivo commiato al moderatismo, come una ferita non più rimarginabile tra la politica e le istituzioni.

In realtà gli imprenditori temono che la frattura tra i catalani e il resto del Paese provochi il boicottaggio interno dei prodotti made in Catalunya e un distacco dai mercati europei.

Quinto: il Parlamento centrale, lo scorso 28 settembre ha approvato la nuova legge sulla pubblica sicurezza. L’articolo 23 stabilisce che in situazioni di crisi, anche per l’integrità territoriale, i poteri di coordinamento sono affidati al governo centrale il quale potrà prendere il controllo delle istituzioni catalane in caso di separazione unilaterale.

Intanto negli ultimi anni, ad ogni visita ufficiale in Spagna, Ban Ki-moon viene puntualmente interpellato sulle spinte indipendentiste interne….il segretario generale dell’Onu non può che ripetere che i processi per l’autodeterminazione debbono risolversi col dialogo.

L’esatto contrario di quanto accade all’ombra della Sagrada Familia.

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