I media italiani chiamano bombe d’acqua i nubifragi che, con frequenza sempre crescente, hanno un impatto devastante sul territorio. Meglio sarebbe parlare di ‘meteore’, una definizione più adatta sotto il profilo scientifico e meno manichea sotto quello morale. Bombe d’acqua sono i gavettoni di ferragosto sulla spiaggia. Le bombe vere evocano il suono della guerra, il terrore dei civili inermi, le notti illuminate dai razzi. Qualche volta ci sono anche quelle intelligenti, quelle che, sempre più spesso, i governi usano per diffondere la loro idea di democrazia e liberare i popoli dai loro dittatori. Dalle bombe ci si difende con lo scudo, magari quello spaziale se assistiti dalla tecnologia, caso raro per i popoli da liberare dai dittatori.

Catania, tecnici e vigili del fuoco in azione dopo la bomba d'acqua

Un articolo pubblicato dall’edizione fiorentina del Corriere della Sera nel 2012 narra che «la definizione (di bomba d’acqua) è stata inventata qualche anno fa da una giornalista della Nazione di Firenze». Forse imbeccato da un noto meteorologo fiorentino. Per risalire alla paternità del nuovo sintagma (neologismo sintattico) di bomba d’acqua bisogna quindi risalire a qualche anno fa e al disastro di Cardoso in Versilia. Era il mese di giugno del 1996 e, collocato l’anno zero, le ‘bombe’ hanno quindi una ventina d’anni. Una frettolosa traduzione di ‘cloudburst’? Tuttavia non è passata inosservata, giacché Google news riporta 10.000 risultati abbastanza buoni di notizie che contengono quel termine, anche se molti si riferiscono allo stesso evento. ‘Cloud’ sta per nube e il sostantivo ‘burst’ significa ‘scarica, raffica’, mentre il verbo può significare sia ‘detonare, esplodere’ (per esempio di una mina) sia ‘scoppiare’ (in lacrime o di applausi) sia ‘compari-re d’improvviso’. Sappiamo che ‘sex bomb’ fu un successo della pop dance di fine secolo, ‘mail bomb’ un’arma esplosiva spedita per posta e ‘bath bomb’ una mistura chimica da bagno che diventa effervescente a contatto con l’acqua per la gioia delle belle signore, ma non si ha contezza che ‘water bomb’ possa significare qualcosa di diverso da un particolare origami o da un ordigno bellico subacqueo che compare in un gioco di Nintendo o da ‘gavettone’ agostano.

Bomba d’acqua è quindi un sintagma affatto nostrano, entrato nella quotidianità di molti italiani, e ha sostituito nel linguaggio comune il tradizionale etimo di meteora, come scrisse Mary Shelley nel 1844: «Una volta sono stata spettatrice di un fenomeno di questo genere a Genova. Gli italiani lo chiamano Meteora. Una nuvola, sovraccarica di elettricità e di acqua, esplose sopra le nostre teste in un torrente di qualcosa che era più una cataratta che un acquazzone». Qualche australiano inizia ad adeguarsi, definendo ‘rain bomb’ un tipico ‘wet microburst’ filmato nel Queensland: una «palla d’acqua che precipita». Il microburst (secco o umido) è un fenomeno abbastanza studiato: una raffica discendente, un violento e improvviso colpo di vento simile a un tornado, che però non si muove ruotando come un mulinello, ma si scarica in verticale.

Che cosa nasconde questo modo di chiamare bomba d’acqua la meteora? Questo neologismo ha senso? Quale messaggio subliminale convoglia?

Alle bombe d’acqua non possiamo che piegarci, con le meteore bisogna imparare a convivere. Per rispondere alla sfida del clima meglio sarebbe adattarsi, prima di confidare che i buoni propositi abbiano un effetto immediato: ci vorrà forse più di un secolo di sviluppo sostenibile per alleviare i danni che cent’anni di sfruttamento insensato del pianeta hanno prodotto. E non è detto che sarà il secolo XXI, né che le malefatte siano tutte reversibili.

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