A vederla ora fa un certo effetto. I resti delle strutture sono lì, sempre più fragili. Le parti che ancora conservano le coperture sono un attestato dell’originaria solidità. I pochi affreschi superstiti sempre più evanidi. E’ quel che rimane dell’abbazia di Sant’Eustachio, alle pendici del Montello, in Comune di Nervesa della Battaglia, nel Trevigiano. Il monastero benedettino che dopo essere stato tra Cinquecento e Seicento un importante polo culturale, per decenni – nel Novecento – è diventato una cava di materiale. Un ammasso informe di rovine, da riutilizzare. Un patrimonio disperso.

Nel maggio 2009 soltanto una pulizia dei volontari dell’associazione Pro Loco Nervesa ha permesso di restituire al monumento una sua dignità. Di riscoprire settori che ormai la vegetazione infestante aveva obliterato. Nel marzo 2012 una nuova ripulitura e la conservazione, parte di un progetto del Comune di Nervesa della Battaglia con l’associazione Ana di Bavaria e l’associazione storico culturale Battaglia del Solstizio. Palliativi.

Per questo il Comune, proprietario del sito, dopo una complessa vicenda giudiziaria che ha visto il Comitato Amici dell’Abbazia schierarsi contro l’ex sindaco Berton, che avrebbe voluto che il complesso monastico tornasse al vecchio proprietario, si è dato da fare per recuperare l’abbazia. A luglio 2014 c’è stata l’autorizzazione al progetto da parte della Soprintendenza ai beni culturali di Venezia.

Tutto pronto, quindi? Quasi. Mancano le risorse. Per questo non rimane che affidarsi ad un novello mecenate. “Noi confidiamo che ci sia qualche privato sensibile interessato ad intervenire per restaurare l’abbazia … in cambio ne avrà la gestione per un certo numero di anni, ma l’Abbazia rimarrà anche in questo periodo di uso pubblico”, diceva il sindaco Vittori lo scorso gennaio. A luglio è stato pubblicato il bando in cui è previsto un intervento di poco più di un milione e 730mila euro dei quali più di 213.460mila per il “restauro e il consolidamento dei ruderi”, 392.960mila per l’“edificio sala convegni” e oltre 393.640mila per l’“edificio servizi”. In cambio il mecenate avrà in concessione il complesso per una “durata massima di 80 anni”, avendo il “diritto a gestire funzionalmente e sfruttare economicamente l’opera”. E non solo: “L’organizzazione di eventi che prevedono la partecipazione di pubblico con ingressi a pagamento e che interessino l’area esterna e l’area monumentale dovranno essere preventivamente autorizzati dall’amministrazione comunale”. Inoltre, “Il Concessionario potrà realizzare, far realizzare e commercializzare materiali multimediali e/o tridimensionali, oggettistica e quant’altro aventi ad oggetto l’Abbazia”.

L’unico a presentare la propria candidatura è stato l’imprenditore italo-canadese di origini montelliane Ermenegildo Giusti.  Ma il problema non è il “chi“, ma piuttosto il “come”. Insomma le modalità scelte dal Comune per trovare risoluzione alla questione abbazia. Infatti sul bando pendono degli esposti di alcuni consiglieri comunali, mentre va avanti la petizione lanciata da Abbazia Bene Comune e Nervesa Bene Comune per rivendicare l’inalienabile valore pubblico del complesso antico. “Il restauro non può essere realizzato dal Comune per mancanza di risorse finanziarie e il complesso una volta restaurato non può essere gestito in proprio dall’Ente appaltante per mancanza di risorse umane e finanziarie”, si legge nel disciplinare di gara. Per questo si è fatto ricorso al bando. E per il Comune, sembra una scelta obbligata quanto naturale.

Anche questa volta, come diverse altre, all’abbandono si contrappone la concessione al privato. Come unica, inevitabile, soluzione. Da una parte la rovina offerta dallo Stato. Dall’altro la rinascita assicurata dagli illuminati mecenati. Esposta così la questione sembra chiara. Porte aperte ai “salvatori della patria” con tanto di doverosi ringraziamenti. E’ cosi anche per l’Abbazia di Sant’Eustachio. Per molti sarà così. Ma non per tutti. Non per quanti sostengono che i restauri del monumento prevedono un prezzo troppo alto per la comunità. Un esproprio che continua ad essere ingiustificabile.

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