Il sabotaggio era stato pianificato accuratamente e silenziosamente anche stavolta. Il Papa voleva l’unanimità sul documento finale del Sinodo dei vescovi e nell’aria sembrava che questo risultato alla conta conclusiva sarebbe arrivato. Ma, invece, era stato già messo in atto lo stesso copione avvenuto con l’assemblea sinodale del 2014 dove non c’era stata la maggioranza qualificata sui tre paragrafi più importanti del documento finale: i due dedicati ai divorziati risposati e quello sui gay. Gli oppositori di Bergoglio erano pronti a fare il bis. Dichiarazioni entusiaste ma “drogate” dei conservatori alla vigilia del rush finale avevano dato l’impressione che il consenso sul testo finale sarebbe stato molto ampio. E, invece, quando si è trattato di affossare con i non placet i tre paragrafi sull’accesso alla comunione per i divorziati risposati caso per caso 80 padri sinodali si sono schierati contro il Papa.

Papa Francesco a commemorazione del 50° Anniversario del Sinodo dei Vescovi

Magra consolazione quella de L’Osservatore Romano che si è affrettato, calcolatrice alla mano, a sottolineare che “i 94 punti della Relazione finale del Sinodo dei vescovi al Santo Padre Francesco sono stati votati quasi all’unanimità dai padri riuniti nella diciottesima e ultima congregazione”. Sempre il quotidiano del Papa ha affermato: “Nell’aula nuova del Sinodo erano presenti 265 padri e, di conseguenza, la maggioranza qualificata di due terzi dei voti era fissata in 177 preferenze. La compattezza dei voti è stata notevole: l’87 per cento dei paragrafi hanno avuto il consenso di oltre il 90 per cento dei votanti”. Ma sul nodo chiave, quello dei divorziati risposati, la “compattezza” è mancata.

Dal Sinodo dei vescovi esce un solo vincitore indiscusso: il Papa. E certamente anche il nuovo metodo del dibattito voluto da Bergoglio e messo in atto dal cardinale Lorenzo Baldisseri, contestato da 13 porporati, ha notevolmente contribuito a ottenere questo successo finale. Cosa sarebbe avvenuto se le aperture per i divorziati risposati non fossero passate? Il pontificato di Bergoglio, avrebbe sicuramente notato qualche attento osservatore, sarebbe stato sfiduciato. Le sue riforme all’interno e all’esterno della Curia romana sarebbero state fortemente minate. La stessa credibilità della Chiesa cattolica, una “Chiesa in uscita, con le porte aperte, incidentata”, una Chiesa dove “i divorziati risposati non sono affatto scomunicati e non vanno assolutamente trattati come tali” sarebbe stata duramente messa alla prova. Ne sono coscienti gli oppositori? Ne sono consapevoli quei cardinali e quei vescovi che alla fine del Sinodo continuano a sostenere con i media e con il loro clero e i loro fedeli che non c’è stata nessuna apertura per l’accesso alla comunione dei divorziati risposati?

Nel suo discorso finale il Papa era stato chiaro: “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore”. Ma Bergoglio non ha mancato di sottolineare anche i “metodi non del tutto benevoli” che hanno animato i lavori del Sinodo: dal coming out di monsignor Krzystof Charamsa alla notizia infondata di un tumore benigno del Papa al cervello, oltre alla lettera dei 13 cardinali sul metodo dei lavori sinodali. “Indebite pressioni mediatiche”, per usare l’espressione di padre Federico Lombardi, con “l’intento manipolatorio del polverone sollevato”, per adoperare, invece, l’immagine scelta da L’Osservatore Romano. Ma i nemici di Bergoglio ancora una volta sono rimasti a digiuno. Fino a quando?

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