I rischi non mancano: minore occupazione, aumento dei prezzi, scivolamento verso il lavoro nero. Sull’altro piatto della bilancia, un freno al Far west dei contratti decentrati e alla disuguaglianza. Stiamo parlando del salario minimo legale, un tema tornato alla ribalta negli ultimi giorni: dopo la rottura delle trattative tra sindacati e Confindustria sulla riforma della contrattazione, infatti, il governo è pronto a un intervento in questo campo. Da non confondere con il reddito minimo garantito, sostegno pubblico per i disoccupati, il salario minimo è la soglia sotto la quale un’impresa non può scendere quando paga il dipendente. Per capire a cosa stiamo andando incontro è utile uno sguardo all’Europa, dove in molti Paesi questa misura è già una realtà.

Il governo pensa a 6,5-7 euro. “Ma ci sono rischi per l’occupazione” – Innanzitutto, a quanto ammonterà il famoso salario minimo? In Europa, gli importi variano sensibilmente da Paese a Paese: si va da 1,06 euro all’ora in Bulgaria (meno di 200 euro al mese) a 11,12 euro in Lussemburgo (oltre 1.900 euro al mese). Nel marzo scorso, il Corriere della Sera ha scritto che il governo italiano pensava a una soglia di 6,5-7 euro all’ora. Ma gli addetti ai lavori spiegano che, per funzionare, l’asticella dovrà essere ancora più bassa. Silvia Spattini, ricercatrice del centro studi Adapt, in un articolo ha sostenuto che quella cifra è troppo elevata e avrebbe impatti negativi sull’economia. “L’importo non deve superare il 60% del salario mediano – spiega Spattini – Lo dimostrano studi economici sui Paesi dove già esiste. Se si va oltre questa soglia, si rischiano effetti distorsivi sull’economia”. Gli esperti, infatti, segnalano diversi pericoli nella scelta di imporre un salario minimo: meno occupazione, prezzi più alti, incremento del lavoro nero. “L’aumento del costo del lavoro determinato dal salario minimo – spiega la ricercatrice – può disincentivare le assunzioni e spingere le aziende a pagare i lavoratori in nero. Oppure, per rientrare dalle maggiori spese, le imprese possono alzare i prezzi dei prodotti”. Per arginare questi effetti, in Europa sono stati individuati interventi correttivi. “Per non scoraggiare le assunzioni più a rischio, cioè giovani e disoccupati di lunga data, in Germania per queste categorie è previsto un salario minimo più basso”, spiega Andrea Garnero, economista Ocse.

Il salario minimo come tutela dai contratti decentrati – Tenendo lo sguardo sull’orizzonte continentale, in Europa esistono due modelli. “Nel primo, a fissare la retribuzione minima è la legge, e quindi esiste un salario minimo legale – spiega Salvo Leonardi, esperto di relazioni industriali dell’associazione Bruno Trentin, centro studi nazionale della Cgil – Nel secondo invece ci pensa la contrattazione, e allora si parla di minimo contrattuale“. Anche se in molti Paesi, in primo luogo Belgio, Germania e Francia, le due realtà coesistono: dove la retribuzione minima non è fissata dal contratto, interviene la legge. Fino ad oggi, sui 28 Paesi dell’Unione europea solo sei non hanno ancora adottato un salario minimo: si tratta di Austria, Finlandia, Svezia, Cipro, Danimarca e, ovviamente, Italia. In questi Stati, la contrattazione nazionale è più forte: nel nostro Paese, copre circa l’85% dei lavoratori. Resta da capire perché, allora, il governo intenda fare ricorso al salario minimo. Da un lato, si vuole dare protezione a quanti non possono contare su un accordo nazionale. Ma dall’altro, non è certo casuale la coincidenza con la riforma delle contrattazione. “Se il governo vuole riformare la contrattazione e puntare sugli accordi decentrati – spiega Garnero – il salario minimo fornisce un limite da non oltrepassare. Altrimenti, una piccola impresa potrebbe derogare al contratto nazionale e imporre un salario molto basso senza che nessuno abbia la forza di impedirglielo”. In poche parole, grazie al maggiore peso dei contratti aziendali, i lavoratori perderanno potere negoziale, mentre le imprese avranno le mani più libere: in quest’ottica, il salario minimo vuole impedire agli stipendi di precipitare verso il basso.

Secondo i sindacati sarà inferiore alla paga base stabilita dai contratti – Ma perché le sigle sindacali italiane temono una riduzione dei salari? La spiegazione sta nei risultati di uno studio condotto nel 2013 da tre economisti per Etui, l’Istituto dei sindacati europei. Nel documento si prende in esame il rapporto tra salario minimo e salario mediano nei vari Paesi. Da questi valori emerge come le paghe-base garantite dalla contrattazione italiana siano le più alte in Europa: nel nostro Paese, l’indice si attesta al 91%, mentre la media degli Stati con il minimo salariale imposto per legge si ferma a quota 50%. Alla luce di questi dati, è più chiara la levata di scudi delle sigle sindacali. “Le preoccupazioni dei sindacati non sono infondate, ma penso che il problema sia risolvibile”, spiega Andrea Garnero, tra gli autori della ricerca. “Il salario minimo non impedisce di negoziare retribuzioni migliori. Bisogna però evitare che un’impresa possa uscire dal contratto nazionale per potere concedere solo il salario minimo. Per esempio, in Germania una riduzione degli stipendi è possibile solo con l’accordo del sindacato”.

Ma la contrattazione lascia scoperto il 13% dei lavoratori – Detto questo, vanno fatte alcune precisazioni. Avere minimi contrattuali alti non significa avere stipendi alti, anzi. Anche perché, dalla ricerca citata, emerge un altro dato significativo. L’Italia è anche prima in Europa per la fetta di popolazione esclusa dai benefici del minimo contrattuale, che si attesta al 13%: si parla di lavoratori precari, in nero e sottopagati. Insomma, nel nostro Paese la contrattazione garantisce minimi contrattuali di tutto rispetto, ma lascia scoperta un’importante quota di dipendenti, creando un discrimine tra contrattualizzati e non. E, rimanendo in tema di disuguaglianza, uno studio de lavoce.info spiega che l’introduzione di un salario minimo può sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori a basso stipendio, limitando l’aumento della disparità tra i lavoratori. La ricerca riproduce l’andamento dell’indice della disuguaglianza tra 1993 e 2012 e conclude che, se si fosse introdotto un salario minimo, il livello “sarebbe stato minore, ma soprattutto sarebbe stato molto inferiore l’aumento della diseguaglianza nel tempo. La ragione di questo effetto è che il salario minimo avrebbe migliorato le condizioni di molti lavoratori che oggi sono pagati al di sotto di quanto stabilito dai contratti di lavoro”.

In Europa il salario minimo si decide insieme alle parti sociali – L’altra grande paura dei sindacati è quella di un ridimensionamento del proprio ruolo nel passaggio dalla contrattazione al salario minimo. Un timore più che legittimo, anche se, nei Paesi europei che lo applicano, le parti sociali hanno comunque un ruolo nella sua definizione, con diverse sfumature. In Belgio, per esempio, il governo è vincolato a seguire le indicazioni delle parti sociali: sindacati e associazioni datoriali arrivano a un accordo e l’esecutivo si limita a recepire l’intesa. In Spagna, lo statuto dei lavoratori prevede che il governo si consulti con le organizzazioni di lavoratori e industriali, ne raccolga i pareri e poi si pronunci con un decreto. In Francia e Gran Bretagna esistono commissioni composte da sindacalisti, imprenditori e altri esperti che ogni anno formulano proposte relative al valore del salario minimo. E anche in Germania funzionerà così, una volta terminata la fase di transizione, cioè a partire dal 2018.

Articolo Precedente

Cassa integrazione, Cgil: “Nel 2015 persi quasi 2 miliardi di reddito”

next
Articolo Successivo

Stabilità, il governo mette 600 milioni per la lotta alla povertà. Ma non basteranno

next