messico patricia 675Quando si parla di cambiamenti climatici ci si focalizza spesso sulla riduzione delle emissioni a scala globale. Nessun dubbio che sia l’unico rimedio per contrastare un’evoluzione del clima già in atto, dalle potenziali conseguenze catastrofiche per la vita sul pianeta a medio e lungo termine. Non va però scartato un po’ di realismo, una cinica attenzione al presente, poiché nel lungo termine siamo tutti morti” come scrisse Keynes con scarsa attenzione al concetto di sostenibilità. Il focus globale mette in secondo piano le strategie di adattamento e quanto si potrebbe fare a scala locale, applicando il principio di precauzione. Infatti, l’ingegneria della resilienza vien quasi sempre invocata a posteriori, dopo che un disastro ha dimostrato le fragilità del territorio rispetto a frane e alluvioni, tempeste e trombe d’aria. E viene presto messa nel cassetto dei buoni propositi, poiché la memoria dell’uomo tende a dimenticare alla svelta le cose spiacevoli.

Da Katrina (2005) in poi e, soprattutto, dopo il disastro di Sandy (2012) gli Stati Uniti hanno modificato l’attitudine a prendere la sfida climatica come un inutile impiccio allo sviluppo della libera impresa. Ora iniziano ad affrontare in modo serio la questione, adottando lo spirito pragmatico che li caratterizza e focalizzando con pazienza i nodi critici. Per esempio, la recente conferenza sulla “Resilienza dei Sistemi di Trasporto nei confronti dei cambiamenti climatici e degli eventi meteo estremi” ha affrontato in modo pratico la difesa di una delle componenti più fragili e, nello stesso tempo, essenziali per la vita delle comunità.

Tra le varie iniziative, quella che sta mettendo in campo l’area metropolitana di New York è seria e articolata. L’uragano Sandy ha fatto quasi 5 miliardi di dollari di danni al sistema newyorkese dei trasporti, le cui infrastrutture furono sommerse non solo dalle acque piovane, ma anche e soprattutto dall’acqua salata e, quindi, corrosiva. Ferrovie e metro, gallerie stradali e infrastrutture di alimentazione elettrica e di controllo subirono ferite gravissime. L’insieme degli interventi necessari a migliorare la resilienza del sistema è stato studiato con grande dettaglio, fenomenologico e spaziale, tenendo conto delle diverse componenti che possono mitigare gli effetti di un’alluvione. Due principi, la ridondanza e la specificità, ne hanno guidato la filosofia. I sistemi ridonanti, ancorché efficienti nel rapporto tra costi e benefici, possono diminuire in modo significativo l’impatto delle inondazioni. Le correzioni a strutture, che furono progettate senza tenere conto del rischio alluvionale, vanno valutare caso per caso in modo da adattarsi alla situazione locale di pericolosità ed esposizione al rischio. Uno degli ingegneri che ha lavorato a questo progetto, Mathew Mampara, osserva che «finché non ci sarà una volontà politica precisa e l’assegnazione di sufficienti risorse ai grandi progetti (Ndr. Per esempio, il sistema di grandi dighe con cui si pensa di poter difendere Manhattan), ha comunque senso adottare un approccio pragmatico basato sul valore specifico dei beni da difendere». E si tratta di una considerazione del tutto esportabile ovunque, come ribadito dal World Economic Forum, Europa compresa.

L’Italia è un paese che si rifiuta di prendere coscienza dei costi della sfida meteo-climatica, anche se non mancano i casi di infrastrutture di trasporto troppo fragili sotto questo profilo. La metropolitana di Milano ha subito a più riprese danni ingenti per le ricorrenti esondazioni del Seveso, culminati nel disastro del 2010 che, da solo, fece danni per più di 70 milioni di euro. Ma questo non è l’unico nervo scoperto del sistema italiano dei trasporti: basta pensare alla fragilità dimostrata da molti ponti del Belpaese e alla deroga dalla luce minima di legge tra le pile in alveo, ai disagi ferroviari anche per eventi meteo non particolarmente eccezionali, alla moltitudine di sottopassi che sono allagati da ogni temporale. E anche la rigida scansione disciplinare della formazione universitaria italiana dovrebbe fare più attenzione alla resilienza nei propri programmi educativi.

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