londra-collage-675

Basta andare a Clerkenwell, camminare sulla high street e ti trovi circondato da bar, locali “etnici”, ristoranti continentali, megastore americani. Ascolti le persone che passano e senti cinese, francese, arabo e magari anche un po’ d’inglese. Ti guardi in su: nuvole grigie, pesanti; senti il freddo penetrante. Sei a Londra.

Se continui con la tua passeggiata vedrai accanto il locale Terroni of Clerkenwell, la Casa Italiana S. Vincenzo Pallotti. Poi direttamente adiacente c’è St Peter’s Italian Church: alta e stretta, con la facciata rossa. Al di sopra dell’entrata c’è una statua – alta un metro e mezzo – di Gesù, ad entrambi i lati due mosaici di scene del Vangelo. Entri e senti un coro che canta; o due anziani che parlano; o ti leggi una brochure, un leaflet – tutto in italiano. Questa è la parrocchia, un point of contact per persone che son uscite dal Bel Paese per crearsi una vita nella capitale inglese.

Il parroco attuale, padre Andrea Fulco, la definisce una ‘chiesa d’immigrazione’. Con lo staff di lingua, la parrocchia creò un centro per la comunità italiana che, pian piano, si aumentava.

Consacrata nel 1863, la St Peter’s Italian Church fu il proseguo della Capella Sarda, la prima chiesa in cui celebravano gli italiani cattolici – anche se sempre in lingua inglese. La crescita della presenza italiana sottolineò l’esigenza di una parrocchia totalmente dedita a artigiani, artisti e commercianti provenienti dalla penisola mediterranea. St Peter’s era concepita come una chiesa in cui non solo si potesse predicare e celebrare in madre lingua, ma anche come guida per i nuovi residenti londinesi.

L’accompagnamento offerto dalla chiesa continua ancora ad oggi. La chiesa organizza incontri per le sue associazioni e club: c’è il Gruppo Giovani, il Club della Terza Età, eventi per bambini ed adolescenti. Prova a tener viva la cultura italiana che pulsa nelle strade e nei palazzi della City.

Anche se sparsi, gli italiani a Londra son cresciuti in numero. Basta guardare il telegiornale e si sente parlare di “cervelli in fuga”, di giovani che cercano lavoro. E, in particolare, qui a Londra è una realtà vissuta quotidianamente. E la parrocchia cerca di crearsi uno spazio, di offrire una mano a coloro che la cercano. Per i neo immigrati, ed in particolare per gli italiani che vengono senza lavoro, senza casa, e senza competenze linguistiche, St Peter’s prova ad offrire aiuto. Attraverso un loro progetto, Benvenuti a bordo, “giovani italiani, che hanno fatto anche loro la loro gavetta…danno orientamento”.

Ma le attività della parrocchia mettono a fuoco un aspetto dell’immigrazione poco menzionata da noi italiani, sia all’estero che a casa. E quella dei disagiati, “italiani che vengono allo sbando”. Persone che vengono nella capitale e cercano lavoro, ma si trovano difronte un muro che li blocca.

Questi homeless italiani sono una realtà concreta. Collaborando con la chiesa nazionale inglese, la St Peter’s fornisce cibo, un tetto, ed anche aiuto nel trovare soluzioni. Il parroco parla di come ‘dai cinquanta ai sessanta’ si presentano ogni settimana fuori le porta, pronti a ricevere un aiuto gratuito.

Ma per un italiano qualunque, trovatosi a Londra, basta entrare nella parrocchia e respira un’aria di casa, un’aria italiana. Si sentono parlare dei siciliani di una complicazione a lavoro, o dei ragazzini romani di una ragazza che hanno visto a scuola. Ti siedi e parli con uno di Vicenza che, prima di venire a Londra, studiò ad Edimburgo, tornato poi in Italia e, per mancanza di lavoro, fugge. Ascolti la messa, rispondi, dici il padre nostro, l’amen in italiano. Poi esci dalle porte, e di nuovo ti trovi in Inghilterra.

La storia di St Peter’s è una di ritrovo di foreigners italiani in un paese estraneo; di un microcosmo di riposo e di aiuto, di home away from home. È un pezzo d’Italia al centro di Londra. Un edificio che simboleggia la nostra presenza oltre i mari e le montagne, e delle difficoltà che affrontiamo.

di Daniele Giuseppe Palmer, studente di Storia alla University College London.

Articolo Precedente

“Stanca di fatturati e riunioni, ho scelto una ong a Ginevra. Ora mi riconosco”

next
Articolo Successivo

Regno Unito, la “fuga” degli infermieri italiani: ‘Qui possiamo fare carriera ed essere considerati persone, non numeri’

next