La Camera ieri ha approvato e inviato al Senato per la ratifica finale il testo della legge sulla governance Rai. Rispetto a quanto già votato dai senatori, i deputati hanno aggiunto la indicazione che la nuova concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo, che dovrebbe entrare in vigore nel secondo semestre del 2016, sia affidata sì alla Rai, ma dopo “una ampia consultazione pubblica sugli obblighi del servizio medesimo, garantendo la più ampia partecipazione”. L’esempio viene dall’Inghilterra che sulle questioni di strategia della radiotelevisione periodicamente si interroga, a volte anche con maniere ruvide, non per la passione lottizzatrice e monopolistica della quale noi abbiamo fatto vasta esperienza, ma perché lo considera strategico per un Paese che non si rassegni a farsi relegare agli ultimi banchi.

Chiamare in campo in modo organizzato la opinione pubblica denota dunque l’idea di “legittimare” e non solo di rafforzare grazie al collegamento alla bolletta elettrica, la sovvenzione del canone. Nel contempo questa potrebbe essere l’occasione per dialogare con i contribuenti entrando nel merito di ciò che gli viene chiesto di sovvenzionare. E qui ci sembra di immaginare dove è probabile che passerà la principale linea di distinzione: sul significato da dare al termine “diversità”. Perché non c’è dubbio che se ai cittadini viene chiesto un finanziamento per sovvenzionare una radiotelevisione, quando comunque, per conto proprio e finanziata da formule a pagamento diretto oppure dalla pubblicità, ne scorrerebbe a fiumi sull’intero Paese, la ragione può stare soltanto nell’intento di ottenere una radiotelevisione pubblica obbligatoriamente diversa da quelle private.

I cittadini sentono davvero il bisogno di questa “diversità”? Qui i terreni di confronto sono due e ambedue indispensabili: ma badando al fatto che il primo terreno è viscido, mentre il secondo è solido. Il terreno viscido è quello della qualità dove, da qui la certezza degli scivoloni, ognuno è libero di pensarla e vederla come vuole. Tanto più che la “qualità”, il “timbro caratteristico”, di una emittente si deposita giorno per giorno. È una tensione all’autorevolezza e quindi al superamento delle miopie particolaristiche, dell’accontentare tutti un po’ e nessuno in generale. Che è la strada percorsa finora con la intermediazione di commissioni parlamentari e politici portatori di sollecitazioni corporative e localistiche.

Ben più solido il terreno dell’industria, dello sviluppo (che finora è mancato), dei posti qualificati di lavoro (che ancora aspettano di essere moltiplicati). Terreno solido, ma finora deserto, perché mentre alle strategie industriali di Marchionne tutti, giustamente, si appassionano, a trovare un “making&made in Italy”, capaci di partecipare allo sviluppo del Paese anziché limitarsi ad allietare e circuire il riposo dei suoi guerrieri, nessuno ha mai pensato che si dovesse porre testa. Portare gli italiani su questi due terreni, uno per il quale hanno sicuramente molte parole in testa, ma ahimè sdrucciole, e l’altro in cui molto potrebbero e vorrebbero dire se solo possedessero le parole e i dati per farlo: questa sarà per davvero la grande responsabilità dei gestori della consultazione. Del resto si sa che è la qualità delle domande che determina quella delle risposte.

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