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Altiero-Ankara

Perché l’Europa fa spallucce alle politiche di Erdogan

Non è un’associazione immediata, ma l’impatto mediatico e politico che il corteo di Ankara avrebbe avuto, se non fosse stato interrotto dall’attentato, ha qualcosa a che fare con le recenti immagini delle marce dei migranti diretti in Austria. Un fiume di persone a piedi lungo chilometri di binari, capace finalmente di rompere il muro del silenzio mediatico mettendo in luce la contraddizione tra l’Occidente dei diritti umani e il volto muscolare della fortezza Europa. Quel fiume di persone ha attivato meccanismi di solidarietà dal basso e messo alle strette la politica europea. L’Europa costretta ad aprire le porte, ad accogliere o sforzarsi malvolentieri di accogliere. Più probabilmente, gli spiragli di apertura nascondono il tentativo di arginare il problema attraverso canali diversi. La Turchia di Erdogan, come fu per la Libia di Gheddafi ai tempi degli accordi tra il dittatore e il governo italiano, è uno degli strumenti attraverso cui l’Unione europea sta cercando di controllare l’emigrazione di massa. Erdogan lo sa bene e utilizza i profughi siriani come strumento di contrattazione.

In questo modo si legano la nuova ondata migratoria diretta in Europa e la repressione dei curdi e delle opposizioni in Turchia. Nella sua recente visita a Bruxelles, Erdogan, di fronte ad istituzioni silenziose rispetto alle violazioni dei diritti umani e dei principi democratici del governo turco, ha esteso le accuse di terrorismo ai propri nemici interni ben oltre il Pkk. Il motivo di questo silenzio lo si comprende dando un’occhiata al Rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): 59,5 milioni di migranti forzati alla fine del 2014 rispetto ai 51,2 milioni del 2013 e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. In Europa si registra un +51% alimentato dal conflitto in Ucraina e dal numero record di 219.000 attraversamenti del Mediterraneo. Ma la presenza di rifugiati siriani in Turchia ne ha fatto, nel 2014, il principale “paese di accoglienza” al mondo, con 1,59 milioni di rifugiati siriani presenti alla fine dell’anno.

Il flusso migratorio che interessa l’Europa non è soltanto quello proveniente dall’Africa. Non c’è solo la rotta che dalla parte occidentale del Continente e dal Corno d’Africa arriva in Libia per poi raggiungere le coste italiane o quella alternativa che dall’Algeria, attraverso il Marocco giunge in Spagna.

Il dato recente è l’aumento esponenziale di migranti di altra provenienza, determinato dalle guerre in Siria e Irak. La rotta seguita è quella che dalla Turchia, passando per la Grecia, attraversa i Balcani e l’Italia per poi dirigersi in Francia e Regno Unito. In alternativa, la strada percorsa è quella che passa per la Romania, l’Ungheria e l’Austria, con la Germania come destinazione finale.

È una migrazione a maggioranza siriana: 4 dei 10 milioni di persone costrette a migrare a causa della guerra. Circa 630.000 profughi sono stati accolti in Giordania, 250.000 in Iraq, 132.000 in Egitto, 1,1 milioni in Libano e ben 2 milioni in Turchia. In Europa 340.000: 98.000 in Germania, circa 2.000 in Italia. Sul territorio Turco passa quindi la rotta di un flusso migratorio che preoccupa l’Europa e le cifre appena viste spiegano anche perché stavolta l’Italia sia riuscita ad affermare la linea che si tratti di un “problema” europeo e non solo della sponda mediterranea.

Dei 2 milioni di profughi attualmente sul territorio turco, circa 300.000 sono “ospitati” nei campi di accoglienza, mentre gli altri sono distribuiti in varie città intenzionati a raggiungere i Paesi dell’Unione europea. La Turchia di Erdogan cerca quindi di utilizzare il controllo dei flussi migratori come merce di scambio per portare l’Europa su posizioni anti Assad ma soprattutto per togliere appoggio al nemico curdo. L’Europa ha bisogno di Erdogan per tenere il più lontano possibile dal proprio territorio i 2 milioni di migranti siriani e per questo la sua reazione è a dir poco debole rispetto alle politiche di Erdogan nei confronti dei curdi, alla violazione dei diritti umani, all’ambiguità della politica del governo turco in Medioriente.

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Nell’incontro tra il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a Bruxelles è stato chiesto al presidente turco di rinforzare i controlli alle frontiere e di accogliere i migranti respinti dai Paesi dell’Unione. In cambio, l’Unione europea finanzierà nuovi campi profughi in Turchia in cui migranti e richiedenti asilo saranno identificati e aiutati nella presentazione della domanda di asilo. Nella sostanza, si tratterebbe di applicare una politica di detenzione dei profughi siriani fuori dai confini europei, al fine di tenere lontana un’emergenza a cui non si è capaci di dar risposta con adeguate politiche d’accoglienza. La Turchia dovrebbe poi collaborare alle operazioni di pattugliamento dello spazio marittimo che la divide dalla Grecia, per questa via 370.000 persone sono arrivate nei Paesi dell’Unione.

Ciò che Erdogan ha chiesto in cambio è sostanzialmente un avallamento delle sue politiche autoritarie: un visto per i cittadini turchi che renda più facile viaggiare in Europa, il riconoscimento della Turchia quale “paese terzo sicuro”, cioè caratterizzato dal corretto funzionamento del sistema democratico, assenza di persecuzioni, torture e violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno. Insomma una chiara validazione europea dell’operato di Erdogan rispetto alla repressione messa in campo nei confronti delle opposizioni politiche, delle minoranze e degli organi d’informazione.

Ancora, le “politiche dell’accoglienza” messe in campo in maniera coordinata dai Paesi dell’Unione e dalla Turchia dovrebbero avere come corollario la creazione di una “zona sicura” a nord della Siria in cui accogliere e identificare i profughi siriani. In realtà, si tratterebbe di una  no-fly zone interdetta all’esercito siriano, con due obbiettivi: garantire il rifornimento dei gruppi jihadisti; impedire che l’Ypg avanzi a nord di Aleppo, che è precisamente lo scopo dichiarato della nuova coalizione anti Isis costituita con l’Esercito libero siriano.

La “zona sicura” era già stata oggetto di contrattazioni a luglio, quando Ankara, concedendo all’esercito Usa l’utilizzo della base aerea di Incirlik, aveva ottenuto in cambio un tacito assenso alle operazioni militari contro i curdi che erano stati i principali alleati Usa nella guerra all’Isis.

In questo scenario intervengono le vicende legate all’intervento russo al fianco del governo di Bashar al Assad nonché il mutato orientamento di molti Paesi occidentali verso una soluzione che non preveda il cambiamento di regime in Siria, ripensamento dovuto, anche qui, alla volontà di arginare in fretta l’afflusso di profughi siriani. Erdogan cerca dunque di rassicurare l’Europa sulla questione dei profughi per allontanarla da Damasco, mentre gli sconfinamenti dell’aviazione Russa, domenica scorsa, sono stati una chiara dimostrazione del non voler in alcun modo rispettare la no-fly zone turca, lanciando un messaggio rivolto sia ad Ankara che all’Europa: l’istituzione di un “zona sicura” significherebbe uno scontro diretto.

Il potere teme i popoli in marcia

Il corteo di Ankara e l’ondata di migranti diretti in Europa possono essere legati dunque da una riflessione. La Turchia di Erdogan teme la democrazia come l’Europa teme i migranti e l’attenzione che essi sono riusciti a suscitare con forme di opposizione pacifica ai respingimenti, con i loro appelli e il moto di solidarietà che hanno ispirato, stavolta facendo sentire chiara e forte la voce di un’Europa dei popoli fuori dal coro della difesa dei confini. I popoli in marcia fanno paura al potere e quando il potere ha paura agisce nella maniera più codarda e inumana, ma senza palesarsi, vestendo le sembianze di un moderno Nessuno, lasciando la porta socchiusa al terrore affinché questo sappia bene di poter entrare. Erdogan strizza l’occhio al terrorismo dell’Isis e al nazionalismo, e al contempo esprime la violenza repressiva del suo governo contro i curdi e gli oppositori politici. L’Europa strizza l’occhio ad Erdogan. Erdogan ha paura dell’Hdp e di un confronto elettorale davvero rispettoso dei meccanismi democratici, l’Europa ha paura dei migranti. La Turchia e l’Europa lasciano la porta socchiusa al terrore, l’una in maniera diretta, l’altra indiretta.

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