Rom-elemosina

Bari, Piazza Mercantile. Sono al bar, con due cari amici. Si dialoga sui mali della società, delle cose che non vanno, di quel che si potrebbe cambiare. Idee per un Sud migliore, capace di camminare sulle proprie gambe, senza stampelle. Ho avuto una brutta settimana. E mi è capitato, come a chissà quanti altri, di aver avuto viscido contatto con gente talmente “per bene” da ridurre la propria dignità a raschiare il fondo del barile dell’umano squallore. Si scambiavano impressioni anche su questo, ahimè.

Si avvicina al nostro tavolo una donna rom con bimba in braccio. Noi pronti a fingere di non averla vista. Il solito carosello di venditori di rose, ragazzi addobbati di chincaglierie come abeti natalizi, e altri mendicanti. Lei sorride e ci chiede di prendere un gelato per la bimba, dall’età apparente di 2 anni. Bimba bellissima, che ci guardava con occhi curiosi e vispi. Ci scruta, dalla sua postazione, quasi asettica, probabilmente avvezza a reazioni di ogni tipo, a fronte delle richieste di denaro avanzate dalla mamma.

Così inopinatamente interrotti, noi ci guardiamo e quasi all’unisono diciamo alla mamma: “Va bene, ma solo se prendiamo il gelato”. Lei: “Certo, grazie”. Quasi sorpresa per la nostra richiesta.
Entro, vado alla cassa, mamma e figlia al seguito, acquisto un gelato. Lei aveva già preso lo scontrino dalla cassiera e non me ne ero neanche accorto. Attendevo, come appeso, la bimba mi guardava, forse sorpresa perché mi attardavo. Sorridiamo un attimo, di quel mio indugiare superfluo. Decido che il mio ruolo di accusatore etnico ha già messo a dura prova tutta la mia dignità.
Saluto e vado via. Dopo pochi istanti, la bimba arriva di corsa al nostro tavolo, rimane immobile e ci guarda. Noi le sorridiamo e le diciamo: “Vai da mamma, sù, a prendere il gelato”. Lei attende, inspiegabilmente, sceglie un momento di silenzio, come un bimbo che deve dire la poesia nel giorno di festa, infine sussurra un tenerissimo “Grazie!”. Poi sorride. I nostri cuori si sono sciolti in un istante. Uno di noi, interpretando perfettamente forse il pensiero di tutti e tre, fa notare quanto fossimo prevenuti, anche noi, come tanti altri sporchi razzisti. Proprio come quelli che tanto ribrezzo ci fanno. Anche questi sono i rom che la società preferisce emarginare, anche per creare i grandi affari su cui speculare? Come a Roma?

Tuttavia, non convinto del tutto l’accusatore che è dentro di me, quasi inavvertitamente, con un gesto automatico, ruoto la sedia di quel tanto che mi consente di guardare l’ingresso, per verificare se davvero quella bimba abbia ricevuto il suo cono o meno. Dubitavo, ancora. Partecipando, un po’ distratto, alla nostra conversazione, che nel frattempo è ricominciata. Finché la mamma esce con la bimba trionfante in un braccio, con in mano il suo bel cono gelato. La mamma ci saluta educatamente e va via. La piccolina ci guarda, sorridente.

Predichiamo quotidianamente contro le varie declinazioni della discriminazione, ci indigniamo, e poi compiamo, più o meno inconsapevolmente, i nostri piccoli gesti di razzismo interiore. Non si combatte il razzismo con il cuore gonfio di pregiudizi e alimentando i luoghi comuni. Parola di meridionale.

Forza, piccolina, cambia questo mondo orribile, comincia con la forza irresistibile del sorriso, come hai fatto oggi col mio cuore…

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