identità maschiliForse nel maschio non c’è una lacuna vera e propria ma solo un posto vuoto che chiede di essere riempito come accade per il ventre materno.

Edvard Munch dichiarò, molto semplicemente “La donna, in tutta la sua diversità, è un mistero per l’uomo”. Così come Freud la definì “un continente nero”.

Spesso faccio complimenti agli uomini e il più delle volte non sono né graditi né accolti con la stessa intenzione con cui li esprimo. La loro espressione sembra dire: “Chissà cosa vuole ottenere?”. Mi sembra che si sentano sedotti e imbarazzati al contempo, perché nel loro percepito i complimenti sono territorio maschile. Il vecchio sistema non funziona più e, che ci crediate o no, questa non è una cosa negativa. Perché quando i sistemi si rompono vanno verso un cambiamento.

‘La questione dell’identità maschile è di cruciale importanza perché i maschi ora arrivano meno numerosi a diplomarsi e a laurearsi rispetto alle femmine, commettono più suicidi e crimini, muoiono più giovani e sono in terapia per condizioni come Adhd (Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività) più delle  femmine.

Dalle mie mini-interviste agli uomini che conosco tra gli Stati Uniti e l’Europa ho stilato un elenco delle cose che più comunemente creano loro disagio:

1. Pensano che il loro valore di base risieda nella sola capacità di provvedere e proteggere

2. Cercano di adattarsi, alcuni con sofferenza, negli stereotipi del maschio Alfa che seduce e conquista tutte le donne che passano a tiro.

3. Quando si sentono smarriti non sanno come chiedere aiuto e a chi chiederlo.

4. Non si sostengono emotivamente tra loro, per imbarazzo o per paura di dimostrare fragilità.

5. Vivono in un senso di impotenza generalizzato, ma non sanno da dove trarre sicurezza e potere.

6. Vorrebbero trovare un obiettivo nella vita, come lo avevano padri e nonni, ma al contempo riconoscono il limite di quegli obiettivi.

7. Riconoscono l’incapacità dei loro simili ad instaurare un rapporto più equilibrato col mondo femminile ma al contempo ne subiscono gli aspetti più radicati.

E’ difficile perchè tutte le regole sono state scomposte assieme ai loro ruoli più radicati e nessuna di esse è stata sostituita con questo è ciò che devi fare. 

Non c’è stato un “movimento maschile” al quale guardare indietro per capire il tragitto che ha portato gli uomini fino a qui, nel bene e nel male. Qui dove non sanno dove stare, che fare, come integrarsi con le donne, con il mondo, come sentirsi realizzati per davvero o, come risolvere il dilemma che mi ha rivelato un amico di 36 anni: “Chi è sposato si lamenta perché sta peggio di prima, e chi non lo è si sente perso di fronte al suo futuro”.

Qualcuno di loro punta il dito contro le donne. Troppo forti, troppo esigenti, troppo indipendenti, troppo, troppo, troppo. E in questo troppo…cresce il divario e al contempo si torna a sfruttare le doti femminili come utilità e non come ispirazione per evolversi: le donne funzionano bene, sanno fare e fanno meglio, e per questo è utile collocarle nei ruoli di mezzo: non più operaie quindi, ma nemmeno leader. Ma questo approccio alla fine crea solo delle “anti-abilità” nei maschi e nega qualunque possibilità di liberare il potenziale di innovazione (e reinvenzione del Sé) che è presente in ognuno di noi.

E se la sola cosa necessaria per unevoluzione maschile fosse quella di accettare il vuoto, la confusione e lemotività?

L’inconscio ci porta sempre a riflettere sui grandi archetipi che fungono da linee guida. La madre è generatrice di vita: matrice e creatrice. E gli uomini, possono diventare generatori di se stessi per evolversi alla più elevata versione di sé?

In greco antico l’uomo inteso come essere umano si chiama Ánthrōpos (ἄνθρωπος), interpretato dagli gnostici come l’umano completo e include entrambi i sessi, oppure è neutro rispetto al genere, colui che conferisce la vita a tutte le cose, il Generatore.

Per i maschi è arrivato il momento di superare la confusione di Munch e scoprire il mistero delle diversità dentro se stessi accettando i propri contrasti.

E poiché generalmente gli attributi associati al maschile sono razionalità, azione, determinazione, coraggio e forza, mentre quelli femminili sono amore, comprensione, creatività, intuito e sensibilità, ognuno dovrebbe bilanciare questi attributi per essere finalmente una persona completa. È arrivato il momento di (ri)vedere il concetto di madre non più come fonte di frustrazione o inarrivabile dea ma come utile archetipo e musa ispiratrice. Così che i suoi figli maschi, emulandola, possano completare una parte che finora non ha potuto o saputo svilupparsi.

Maschi, è arrivato il vostro treno! Vi rivogliamo. 

O meglio, vi vogliamo come non vi abbiamo mai avuto.

Ci vorrà pazienza e accoglienza per far nascere un nuovo paradigma. Per ora ci sono ancora troppe  “martiri veggenti”: quelle madri che predicono il futuro e già soffrono. Facili da riconoscere dalle loro frasi fatte del tipo: “Non correre che ti fai male”. Quelle non sono solo madri, sono i corridori di una “staffetta degli antenati” che passano il testimone della paura di generazione in generazione. E assieme ai padri assenti non formano bambini coraggiosi ma arrestano la crescita e instillano la paura di vivere e di provare.

Oggi servono madri che usino più frasi del tipo “Corri! E vedi di divertirtici servono più genitori di buon senso, amici, parenti, compagni con i quali scambiare il messaggio “prova con l’intento di riuscire, se cadi chiedi aiuto e non ti fermare se nel bel mezzo ti perdi e soffri”.

Un po’ come accade nel periodo adolescenziale, sofferente proprio perché richiede la perdita di un paradigma caro, stabile e sicuro. Per far nascere se stesso un teenager deve rifiutare e ribellarsi contro il suo passato e soprattutto verso i suoi genitori, attraversando un grande travaglio: molto doloroso.

Si cresce così.

Molti uomini non sono ancora cresciuti per la paura del travaglio, e così saranno gli eterni insoddisfatti per non essersi permessi di sentirsi persi per poi ritrovarsi, per non aver messo il loro coraggio alla prova, per non aver fatto nascere se stessi. Basterebbe diventare generatori di se stessi, e metterebbe a tacere tutti i disagi elencati sopra.

Non dico nulla di nuovo, lo stesso Wagner l’ha messo nel Parsifal: una madre illusa di poter proteggere per sempre il figlio dalla guerra, tanto da isolarlo dal resto del mondo affinché non morisse come fu per il padre, non poté evitare il destino che egli incontrasse un cavaliere che divenne il suo punto di riferimento: abbandonando così il paradigma materno della protezione, e andando incontro alle prove della sua vita. A rischio della sua stessa vita.

Le persone, del resto suscitano rispetto quando affrontano a testa alta una sfida, quando prendono atto di un cambiamento e si addentrano nella profondità di sé.

E quindi le donne, cosa dovrebbero fare?

Essere di sostegno. Non più fiere ferite osservatrici (attive o passive) delle loro debolezze da criticare; non più impazienti verso i maschi, ma accoglienti e nutrienti come lo siamo prima di una qualunque nascita. Questo cambiamento di paradigma è un lavoro di squadra. Spingendo gli uomini evoluti a formare altri uomini. E svolgendo il ruolo di madri di figli maschi con grande attenzione e dedizione.

Articolo Precedente

Rom: lezioni di vita, da Sud a Sud…

next
Articolo Successivo

Mille miglia, perché si fermò?

next