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D’accordo accettare l’idea, confermata nei giorni scorsi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, che i nostri dati personali in transito dall’Europa agli Stati Uniti, una volta approdati oltre-oceano, siano esposti alla curiosità delle agenzie di intelligence americane. E passi anche rassegnarsi a vivere con il sospetto che la nostra intelligence possa aver usato – e anzi abusato – dell’ormai arcinoto software-spia della italianissima Hacking Team per “mettere il naso” nelle nostre comunicazioni elettroniche. Ma la notizia che rimbalza da un articolo pubblicato ieri dalla rivista specializzata Tom’s hardware, tratteggia uno scenario davvero inquietante e inaccettabile persino per chi è più rassegnato alla perdita di ogni parvenza di privacy nella propria esistenza in digitale.

Le major dell’audiovisivo – Viacom, Paramount Pictures, Metro Goldwin Mayer ecc. – “spierebbero”, non è dato sapere come e da quanto, i cittadini italiani allo scopo di accertare se e chi utilizzi internet per scaricare film pirata.

A seguito delle segnalazioni di alcuni utenti, infatti, la testata specializzata in tecnologia ha accertato che l’industria cinematografica sarebbe solita trasmettere agli internet service provider – ovvero a coloro che ci forniscono risorse di connettività dandoci accesso alle cosiddette autostrade dell’informazione – centinaia di comunicazioni con le quali segnalerebbe a questi ultimi quali tra i propri utenti utilizzano la connessione a Internet per scaricare illecitamente film ed altro materiale protetto da diritto d’autore.

E, in effetti, a leggere una delle mail che uno degli internet service provider coinvolti nella vicenda ha trasmesso a uno dei propri utenti, e che Tom’s hardware pubblica, sembra che le major dell’audiovisivo sappiano davvero tanto di noi.

Eccone uno stralcio: “Ci sono arrivate numerose segnalazioni di utilizzo illecito del suo collegamento da parte di molteplici detentori dei diritti a mezzo diretto o dei loro uffici legali (Viacom, Paramount, Metro Goldwin Mayer e altre case di distribuzione). Esse contengono precisi dettagli relativi al materiale scaricato, agli orari di download, all’indirizzo Ip utilizzato, alla titolarità dei diritti di chi effettua la segnalazione, il tutto con regolari recapiti di contatto, assunzioni di responsabilità delle affermazioni contenute e firma digitale con certificato valido e confermato in merito all’autenticità del mittente e contenuto dei messaggi”.

Parole inequivocabili che confermano che l’industria cinematografica acquisirebbe – vien da pensare in maniera massiccia – un’enorme quantità di informazioni su come ciascun cittadino utilizza le proprie risorse di connettività, cosa e quando scarica da Internet.

Si tratta dei risultati di un’autentica attività investigativa svolta – stando al tenore della mail che alcuni provider inviano ai propri utenti – in una dimensione tutta privata, senza alcun coinvolgimento né delle forze dell’ordine, né della magistratura.

Una vicenda – se confermata – che sembra la brutta copia di una storia già vissuta diversi anni fa quanto la Federazione antipirateria audiovisiva (Fapav), trascinò davanti al Tribunale di Roma Telecom e gli altri grandi fornitori di servizi di comunicazione elettronica, chiedendo loro che facessero nomi e cognomi degli utenti che – attraverso una massiccia attività investigativa – una società investigativa, al servizio dell’industria cinematografica, aveva accertato essere dediti al download illegale di film.

In quel caso, peraltro, il Garante della privacy, intervenne in Tribunale, dalla parte degli utenti, mettendo nero su bianco che, se effettivamente fosse risultato provato che l’industria del cinema avesse condotto un’investigazione telematica massiccia in danno dei cittadini italiani, tale attività avrebbe dovuto senz’altro considerarsi illecita.

Alla fine, però, il Giudice risolse la questione stabilendo che la Fapav non aveva diritto a pretendere alcunché da Telecom e dagli altri operatori di telecomunicazione e che, almeno in atti, non vi era prova che l’industria cinematografica disponesse, effettivamente, dei dati personali degli utenti.

Questa volta però, potrebbe essere diverso perché i provider, nel “diffidare” i propri utenti ad interrompere la “cattiva abitudine” di scaricare film pirata, dicono loro che le major dell’audiovisivo dispongono dell’indirizzo Ip utilizzato per il presunto download illegale, del titolo dell’opera scaricata e dell’orario della pretesa condotta illecita.

Nessun dubbio, quindi, che l’industria cinematografica investighi, acquisisca un’enorme quantità di dati personali e li comunichi agli internet service provider perché, appunto, diffidino gli utenti, minacciando di risolvere il contratto e lasciarli senza internet, qualora perseverino nell’illecito.

E’ il disegno di un universo parallelo in cui poliziotti privati al soldo delle major dell’audiovisivo si sostituiscono alle forze dell’ordine nell’attività investigativa e i provider si trasformano in sceriffi della Rete, minacciando di disconnettere gli utenti da internet sulla base di un semplice sospetto, documentato da una delle parti in causa e senza alcun vaglio da parte dei giudici.

Nella sostanza, se la storia che rimbalza dalle colonne di Tom’s Hardware con tanto di prove, risultasse confermata, significherebbe che, in Italia – chissà da quanto tempo – è in funzione un sistema analogo a quello alla base della famigerata legge francese antipirateria – la c.d. Hadopi – nella sua versione originaria per fortuna, dichiarata illegittima prima ancora che vedesse la luce dalla Corte costituzionale.

Ma da noi sarebbe peggio, perché, le investigazioni che nel modello Hadopi della prima ora avrebbero dovuto essere svolte da un’Autorità pubblica, sono svolte da “investigatori privati” e, soprattutto, la disconnessione dell’accesso a Internet è un “provvedimento” tutto privato, che l’internet service provider sembrerebbe assumere solo perché “minacciato” dalle major di Hollywood di essere, in caso contrario, ritenuto corresponsabile della pirateria.

Si tratterebbe di uno scenario completamente fuori legge e democraticamente insostenibile. E sarebbe ancor più difficile da accettare considerato che poco più di un anno fa, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, è scesa in campo, proprio dalla parte dell’industria dei contenuti, varando l’ormai celebre regolamento con il quale si è attribuita il potere di sostituirsi – nei fatti – ai giudici, ordinando la rimozione di qualsiasi contenuto coperto da diritto d’autore pubblicato online o, addirittura, il blocco del traffico internet diretto verso taluni contenuti o piattaforme.

Possibile che un provvedimento del genere – già di per sé di dubbia costituzionalità tanto che la Consulta, il prossimo 20 ottobre dovrà valutarne la legittimità – non sia sufficiente a soddisfare la sete di giustizia delle major dell’audiovisivo?

Ma sul punto è bene essere chiari per fugare ogni possibile equivoco: la pirateria audiovisiva è una piaga da debellare, ma la guerra a questa come ad ogni altra condotta illecita, non può essere condotta derogando ai principi fondamentali nei quali un Paese come il nostro si riconosce o, almeno, dovrebbe riconoscersi: le indagini le fanno le forze di polizia sotto il controllo attento dei giudici, ogni compressione della privacy dei cittadini deve essere indispensabile e fondata su una norma di legge e, soprattutto, l’accesso a Internet e a ogni contenuto pubblicato online, non si tocca, in assenza di un ordine di un giudice dopo l’esito di un giusto processo.

Non c’è ragione, neppure quando si parla di tutela del diritto d’autore, per giustificare pericolose forme di privatizzazione della giustizia o, ancora peggio, legittimare forme di investigazione di massa in danno dei cittadini italiani.

E’ urgente, a questo punto, che il Garante per la privacy verifichi se, davvero, l’industria del cinema sta “spiando” milioni di cittadini italiani, allo scopo di farsi giustizia da sé, senza passare per i tribunali.

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