Immigrati Bolzano
Questa estate il Comune ha aperto un Centro di accoglienza immigrati proprio sotto la finestra di casa mia. Lo spazio di quattro piccoli negozi chiusi da anni e riadattati (spero!) per l’occasione, con una porta protetta da una grata verde bottiglia riverniciata di fresco. Ci è voluto un po’ per capire cosa fosse quel via vai di gente che parlava in una lingua straniera e che entrava in un posto che, fino al giorno prima, era stato chiuso.
Dopo una settimana, fuori dalla grata verde, ho visto posizionato, su una cassetta per le verdure di plastica capovolta, un vaso con una piantina di basilico. Ricordo di averlo guardato con un sorriso, facendomi venire il dubbio che il basilico non fosse poi una pianta prettamente italiana. In agosto il centro accoglieva circa sei persone, tutti uomini, di lingua araba. Ogni tanto uscivano dalla porta verde per fumarsi una sigaretta o per fare una telefonata al cellulare; ogni tanto annaffiavano la piantina di basilico.
Mai un rumore, mai uno schiamazzo, sempre molto discreti. Essendo un quartiere della periferia romana, dove Matteo Salvini è sempre più apprezzato, mi ero preparata a sentire qualche lamentela, soprattutto dai frequentatori del bar di fronte (da cui ho imparato, nel tempo, tutta una serie di bestemmie e di improperi che – per fortuna – sconoscevo, gridate ai quattro venti e arrivate fino alla finestra della mia camera).
Avevo addirittura deciso di passare le giornate vestita, pronta per scendere in strada e difendere quelle persone al primo segno di razzismo, armata di frasi preparate a puntino (eh, i drammi di chi non nasce con la risposta pronta!). Invece non è servito. Gli abitanti del quartiere hanno continuato la loro vita come se nulla fosse, qualcuno li guardava con sospetto, qualcun altro come se fossero italiani (cioè come se non esistessero). Qualcuno con una battutina cattiva c’è stato. Ma una signora si è fatta pure lavare la macchina (dietro compenso), scherzando con loro e facendoli divertire.
Io ho messo da parte le frasi preparate e ho iniziato a pensare che sarebbe stato carino portare loro qualcosa per dare il benvenuto, un ciambellone o una torta, per far sentire meno freddo un posto così lontano dalla loro casa e dai loro affetti. Ma accanto al desiderio di compiere quel gesto sono iniziate paranoie inaspettate: e se poi parlano solo arabo o francese e non mi capiscono? E se poi per qualche regola religiosa non possono mangiare qualche cibo, tipo le mucche per gli indiani o il maiale per i musulmani e gli ebrei? Cavolo, perché non ho studiato religione a scuola? E se poi vedono una ragazza, non sposata, vestita con pantaloncini estivi, e pensano male? Verso la fine di agosto ho anche preparato quel ciambellone. Poi l’ho mangiato con un paio di amici, senza dire loro per chi l’avessi preparato in origine.
Ogni giorno guardavo la porta verde, senza decidermi. Qualche giorno fa il centro immigrati sotto casa mia ha chiuso. Non so perché. Non so dove abbiano portato quegli uomini che, per qualche mese, mi hanno fatta sentire meno sola. La piantina di basilico in poco tempo si è seccata. Ed io sono rimasta ammutolita, scioccata dal mio comportamento e dalla consapevolezza di quanto quel maledetto demone del pregiudizio sia presente dentro ciascuno di noi, anche dentro quelle persone che hanno sempre professato (sinceramente!) la necessità dell’accoglienza e della fratellanza, quelle persone che una settimana prima magari avevano partecipato alla manifestazione “dei piedi scalzi”.
Improvvisamente mi sono resa conto del perché la Lega stia avendo tutto questo successo; mi sono resa conto di quanto la paura conduca le nostre scelte e le nostre vite. Nel frattempo, anche se non ho mai saputo i loro nomi, i loro paesi d’origine o quelli di destinazione, vorrei usare il privilegio di questo spazio per chiedere scusa a quegli uomini e per augurare loro buona fortuna e buona vita.
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