Se fossimo una delle 5mila e passa “famiglie auditel” i televisori di casa sarebbero abbinati ad altrettanti apparecchietti dotati di una fila di tastierini numerati, uno per ogni residente o ospite, anche temporaneo, della magione. Come tutti gli altri mortali ci piazzeremmo davanti al video, metti conto quello nel tinello in compagnia della consuocera in visita, e vagheremmo col telecomando, oppure, mentre sbrighiamo faccende in casa, lasceremmo correre un programma di compagnia (fai conto Uomini e Donne, perché ci sentiamo dei loro oppure, al contrario, li osserviamo di passaggio come fossimo allo zoo). A differenza degli altri comuni mortali, i “non auditel”, avremmo in più l’incombenza di premere il tastierino corrispondente per avvisare l’apparecchietto di considerarci “spettatori”.

E se per ipotesi, a un certo punto (perché c’è un limite a tutto, anche all’interesse per Uomini e Donne) decidessimo di darci sollievo lasciando la consuocera addormentata davanti alla tv del tinello e trasferendoci di soppiatto in altra stanza con relativo televisore, dovremmo disattivare il “nostro” tastierino del tinello e attivare quello corrispondente nella nuova postazione. In sostanza il “sistema auditel” altro non è che il diario giornaliero annotato su un minicomputer, di quanto a lungo stanno davanti a un televisore acceso i vari membri della famiglia con gli eventuali ospiti. Dove “stare davanti” non vuol dire “seguire appassionatamente”, ma comprende anche il dormire alla grossa in poltrona mentre la antistante tv procede per conto suo. Poi, nel cuore della notte, lo stesso computer, mentre la casa risuona solo dei respiri del sonno notturno, trasmette silenziosamente i suoi dati a un molto più potente computer milanese che li mette in fila e fa le somme.

Il risultato sono i famosi “ascolti” (numero complessivo di spettatori) su cui si avventano la mattina successiva i dirigenti delle tv, gli autori dei programmi, gli investitori pubblicitari e i politici comparsi nei talk show. Perché da quei dati dipendono fatturati e carriere. Ed è per questo che la lista delle “famiglie auditel” è sempre stato un segreto, ma di quelli abbastanza sforacchiati perché chiunque (amici, parenti, fornitori) capitasse in quelle case constatava, a causa della presenza dei relativi tastierini, il loro essere “componenti del campione”, e dunque di fare parte di quelli che contribuiscono, a colpi di zapping, alle fortune e ai fallimenti dello show business televisivo. Certo, stavolta ha fatto sensazione che proprio chi recluta quelle famiglie ne abbia, per una svista, diramato la lista. Ma ci ha sorpreso che, almeno finora e a differenza di qualche, pur meno vistoso, incidente del passato, non vi sia traccia del famoso dibattito sulla “schiavitù dell’auditel” (cui tanti da sempre addebitano di essere fasullo, manipolabile e massificante oltre che, va da sé, nemico della qualità). Come se l’auditel fosse divenuto davvero, ormai, una istituzione di riferimento. Come l’Arma dei carabinieri, che inciampa anche lei di tanto in tanto, ma restando comunque la Fedelissima. Perché in qualcosa bisogna pur credere.

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