Pronti ad insultare e minacciare gli agenti della Polizia locale quando sono davanti alla tastiera del pc o con uno smartphone in mano. Ma molto meno gradassi una volta convocati al Comando per rispondere delle proprie parole e difendersi da una denuncia per diffamazione aggravata mezzo stampa e, in alcuni casi, istigazione a delinquere. Succede a Mantova, dove da un anno la Polizia locale ha messo due uomini del Gruppo operativo misto a scandagliare il web e in particolare i social network. In queste ultime settimane, dopo un’attenta attività di verifica e controlli incrociati, sono partite 15 denunce per i “giustizieri virtuali” di Facebook. “Da un po’ di tempo – spiega il comandante della polizia di Mantova, Paolo Perantoni – avevamo notato che, in concomitanza con certi tipi di azioni svolte dai nostri agenti, sul web si moltiplicavano gli insulti e le minacce nei confronti del nostro corpo di Polizia. In particolare il fenomeno si sviluppava sui social network”.

Una multa per eccesso di velocità, un’ispezione in un’attività commerciale, la sanzione ad alcuni ambulanti che vendevano frutta e verdura senza licenza. Ogni motivo era buono per attaccare gli agenti sulle pagine Facebook dei quotidiani locali, sulle proprie o su quelle dei loro amici e conoscenti. “Si va da offese personali pesantissime – continua il comandante – a vere e proprie minacce, come un recente post nel quale un utente invitava la gente ad andare a prendere gli agenti al comando e a ucciderli tutti. Insomma, si configurano reati che vanno dalla diffamazione mezzo stampa fino all’istigazione a delinquere, reato per il quale è prevista la persecuzione d’ufficio in base al codice penale. Ma chi li commette, spesso, non se ne rende conto. C’è la convinzione che sui social network si possa scrivere qualsiasi cosa impunemente”.

Da qui la decisione di dare un giro di vite. “Abbiamo iniziato a querelare chi scrive offese e minacce ai vigili – prosegue Perantoni – convocandolo al Comando per informarlo della denuncia. A quel punto la grinta manifestata sui social media si trasforma, in quasi tutti i casi, in paura e disperazione. Quasi tutti cercano di giustificarsi, dicendo che non pensavano di commettere un reato. Alcuni sono scoppiati a piangere”. Nei mesi scorsi sui quotidiani locali sono iniziate a comparire le prime lettere di scuse pubbliche nei confronti della polizia mantovana.

“Generalmente, nei casi meno gravi e di sincero pentimento – spiega ancora il comandante della Locale – ritiriamo la querela in cambio di scuse pubbliche sui giornali locali. Ma in certe situazioni le scuse non sono sufficienti e la querela prosegue fino al rinvio a giudizio”. L’identikit dell’autore di questi reati non è omogeneo: studenti, operai, commercianti, professionisti. C’è di tutto. E anche le fasce anagrafiche sono rappresentate un po’ tutte, dai 20 anni in su, fino agli over 50. “Diffamare su Facebook – dice ancora Perantoni – equivale a diffamare sui giornali”. Quindi il reato rientra nell’articolo 595 del Codice Penale, che al comma 3 riporta: “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro“. Mentre l’istigazione a delinquere, anch’essa reato penale (art. 414), prevede la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti e la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a 206 euro, se si tratta di istigazione a commettere contravvenzioni.

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