Ignazio Marino ha dato le dimissioni ma la vicenda che lo ha portato a gettare la spugna non è finita. Intorno a lui resta l’alone delle spese e degli scontrini sui quali, in ultimo, è caduto. Quella pioggia di ricevute dubbie che la Procura di Roma dovrà esaminare lo espone all’accusa di peculato, un reato punito con la reclusione da quattro a dieci anni, e secondo alcune indiscrezioni anche di falso. Non è il primo caso di un sindaco che finisce in guai giudiziari per un uso contestato della carta di credito di rappresentanza, anche per importi modesti (non più di 9mila euro su circa 24mila nel caso del sindaco di Roma). E spesso quei precedenti si sono chiusi in tribunale con un nulla di fatto e chi era scivolato strisciando la carta di credito con disinvoltura, alla fine è caduto in piedi e si è rialzato.

Esempi? Non ha scontato un solo giorno di carcere l’ex sindaco di Bologna Flavio Delbono, che nel 2010 si dimise perché indagato di peculato, truffa e abuso d’ufficio. Tra le accuse, l’uso della carta di credito per pagare spese personali e viaggi fatti con l’allora segretaria ed ex fidanzata Cinzia Cracchi, quand’era vicepresidente della Regione Emilia-Romagna. Per quelle vicende Delbono ha chiuso due patteggiamenti e restituito 46mila euro alla regione Emilia-Romagna a titolo di risarcimento per danno erariale, di immagine oltre interessi. La vicenda non gli ha impedito di tornare in cattedra alla facoltà di Scienze economiche dell’Alma Mater.

Spesso succede che gli indagati non arrivino neppure a giudizio, pur tra le censure dei magistrati. Un esempio? E’ stata aperta e subito chiusa l’indagine che quattro anni fa aveva investito il sindaco di Brescia, Adriano Paroli e nove membri della giunta. Erano tutti accusati di peculato per il presunto utilizzo indebito delle carte di credito. Ma che cosa scriveva il magistrato Silvia Bonardi, depositando la richiesta di archiviazione? “Indubbiamente, si tratta di condotte che avevano rilevanza sotto il profilo del danno erariale, ma che comunque anche se con motivazioni alquanto sprovvedute per provenire da soggetti che governano una delle città non metropolitane più importanti dell’intero Paese, non sono sussumibili nell’alveo dell’ articolo 314 del Codice penale (il peculato, ndr), in quanto non realizzate al deliberato scopo di appropriarsi delle risorse finanziarie pubbliche”.

Cade in piedi anche Alberico Gambino, politico campano annoverato tra gli “impresentabili” delle ultime elezioni regionali. Ex sindaco di Pagani (Salerno) e già consigliere regionale, fu arrestato e poi condannato a due anni e 10 mesi per concussione e violenza privata. Assolto dalle più gravi accuse di collusione con la camorra, è tornato in consiglio regionale quest’anno con oltre 10.500 voti nella lista di Fratelli d’Italia. Anche da sindaco scese e risalì dalla poltrona in seguito a una vicenda giudiziaria: nel 2010 fu sospeso per effetto di una condanna a un anno e cinque mesi per peculato continuato dovuta all’uso della carta di credito del Comune. L’accusa era d’aver utilizzato 118 volte la carta senza riuscire a dimostrare le finalità istituzionali di quasi 22mila euro di spese sostenute. Un anno dopo la Corte di Cassazione ha accolto però il difetto di motivazione sollevato dagli avvocati Michele Tedesco e Franco Coppi (lo stesso del processo Ruby). In particolare sul requisito della “coeva esibizione” dei giustificativi.

Il peculato, ragiona la Suprema Corte facendo proprie le istanze dell’appellante, si consuma al momento del pagamento e non dell’esibizione dei giustificativi che diventano secondari, tanto che “quello che figura come illecito potrebbe essere ascritto a mera dimenticanza o trascuratezza, confondendo di fatto momento consumativo del reato coi comportamenti post-delicutm cioè la tardiva/improbabile/falsa/erronea giustificazione validi per la serie indiziaria e la ricerca della verità”. A questo principio potrebbero appellarsi forse anche i legali di Marino, visto che le incongruenze sui rimborsi che gli vengono contestate vengono da più parti derubricate a “leggerezza” (così oggi il magistrato e assessore alla legalità, Alfonso Sabella). L’importante è riuscire a dimostrare che non era finalizzata “al deliberato scopo di appropriarsi delle risorse finanziarie pubbliche”.

Nel caso di Marino, la Procura non potrà che convocare l’ex sindaco per farsi precisare nomi e cognomi di quegli “ospiti” delle cene che nei giustificativi di spesa indicava con diciture generiche: “celebri chirurghi”, “atleti”, “giornalisti” etc. Come si sa, sono stati proprio alcuni dei “presunti commensali” a smentirle. L’amministrazione capitolina, va detto, non aveva mai contestato alcunché.

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