Non ci fosse stato Mark Chapman ad attenderlo sotto il Dakota Building l’8 dicembre del 1980, oggi John Lennon avrebbe compiuto settantacinque anni.

Difficile immaginarselo coi capelli radi, bianchi, magari i caratteristici occhialini tondi a ornare il naso importante, lo sguardo forse un po’ meno fiero, complice l’età. Settantacinque anni, giusto un paio più di Monti, tanto a voler cavalcare un trend piuttosto diffuso che vuole l’ex primo ministro protagonista al fianco del coetaneo Mick Jagger.

Nato a Liverpool, costa atlantica dell’Inghilterra settentrionale, città dedita alla metalmeccanica, il 9 ottobre del 1940, John, in compagnia di Paul, George e Ringo ha scritto la storia della musica leggera. Al pari di pochi altri epigoni, da Elvis ai Rolling Stones, passando per Hendrix, Beach Boys e una manciata di altri eroi delle sette note.

Se è vero come è vero che negli anni Sessanta si diceva che i Beatles erano più famosi di Gesù è anche vero che, a distanza di trentacinque anni dalla sua tragica scomparsa, ucciso a colpi di pistola da un fan, le canzoni dei quattro baronetti suonano attuali nella scrittura, vere e proprie matrici sulle quali continuare a scrivere pop e rock e che la fama dell’autore di Imagine non è certo scemata nel tempo, divorata magari dalla fugacità della rete.

E se è vero che su Paul esiste la nota leggenda che lo vuole morto e sostituito da un sosia, come “provato” dalla famosissima copertina di Abbey Road e, sostengono i complottisti, dal repertorio solista di Sir Paul, con gli Wings e in proprio, nessuno ha mai potuto sospettare un simile destino per John Lennon. Perché lui è stato capace, negli anni seguenti a quella che a oggi è la scissione di una band più dolorosa della storia della musica leggera, di scrivere alcune canzoni che sono entrate di diritto negli ever green. Canzoni al 100% alla John Lennon, come una buona parte di quelle uscite per i quattro di Liverpool.

Pensare a un mondo senza Lennon, infatti, è a tutt’oggi triste, ma pensarlo senza una Imagine, una Women, una Jealous guy, una Give peace a Change sarebbe una vera tragedia. E proprio il fil-rouge della pace, così presente in molti dei suoi titoli, così come in iniziative storiche come il mitico Bed-In, ce lo fa apparire oggi più contemporaneo che mai. Leggendo le dichiarazioni di questi giorni di Yoko Ono, artista giapponese divenuta sua seconda moglie e da molti additata come la vera causa della fine dei Beatles, insieme a Linda, moglie di Paul, non possiamo non sottolineare come John Lennon, nato a Liverpool e morto a due passi da Central Park, nella sua New York, non fosse lì, negli USA, altro che un migrante, inglese in terra americana. Yoko si è soffermata a sottolineare questo aspetto per condividere un suo pensiero, cioè che oggi sarebbe stato proprio il problema dell’immigrazione, dei profughi, quello che avrebbe assorbito John Lennon, fosse stato vivo, ancor più della musica.

Chiaramente con i se e i ma non si fanno la storia, ma Yoko non si è limitata a rilasciare dichiarazioni su John. Ha deciso che trattandosi di un compleanno importante, c’era qualcosa da festeggiare. E come nelle occasioni importanti ha deciso di coinvolgere amici e parenti. Nello specifico la vedova Lennon ha deciso di organizzare due mega eventi che hanno reso questo giorno ancora più speciale. Prima, il 7 ottobre, ha messo in piedi un gigantesco simbolo della pace a Central Park, vicino a dove la coppia viveva e dove Lennon ha incontrato la morte. Un simbolo della pace formato da quattromila persone, una marea di mani che si sono intrecciati, di spiriti positivi, in puro stile Ono-Lennon, e poi, dall’altra parte del mondo, in Islanda, l’accensione della torre di luce Imagine Peace a Reykjavik. Da una parte, quindi, la pace, dall’altra, la luce.

Oggi, poi, 9 ottobre, a Los Angeles, all’altezza della stella a lui dedicata, nella Walk of Fame, ci saranno celebrazioni e torte da mangiare, mentre a Liverpool, città natale di John e dei Beatles, un concerto al Cavern, storico locale dove il Fab Four si fecero le ossa, un concerto dei reduci della prima band di Lennon, i Quarryman.

Spesso si dice che lo spirito di chi vive nei ricordi degli altri non muore mai. Una frase fatta, buona da essere scritta sulle lapidi. Una frase senz’altro vera. Basta provare a fischiettare Imagine per capirlo. Basta pensare a come John Lennon sia ancora oggi un giovane uomo coi capelli spettinati, gli occhialini tondi e l’impellenza di cambiare il mondo.

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