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Cannabis, imprenditore più ricco al mondo: “Legalizzazione è giustizia sociale”

In un libro autobiografico Steve De Angelo, a capo dell'Harborside Health Center di Oakland con 130 dipendenti, parla di 40 anni di attivismo per i diritti civili negli Stati Uniti: "Chi fuma e coltiva marijuana, soprattutto se nero, finisce in cella più spesso di chi compie crimini violenti. E per i contribuenti sono spese folli: 750 dollari ogni arresto per 3,6 miliardi all'anno". Il futuro? "Un massiccio commercio interstatale di cannabis nella costa Ovest"

di Davide Turrini

“La legalizzazione della cannabis significa giustizia sociale”. Parola di Steve DeAngelo, l’imprenditore californiano di marijuana di maggiore successo negli Usa che racconta in un libro autobiografico (The Cannabis Manifesto – A New paradigm of wellness) la sua avventura aziendale e un’intera vita passata sulle barricate della controcultura Usa.

Dal 2006 il 57enne attivista di diritti civili, elegante ed impegnata icona pop al sentore dolciastro di marijuana, è a capo del dispensario medico di cannabis più grande al mondo. Si tratta del Harborside Health Center di Oakland, in California, dove la marijuana è legale per fini terapeutici dal 1996. L’azienda di DeAngelo da allora ha aggiunto un altro ambulatorio/piantagione a San Jose, e in tutto tiene a libro paga più di 130 dipendenti con un giro d’affari da oltre 94.000 clienti.

“A volte mi chiedo perché ho passato la vita a sostenere ogni tipo di riforma nell’ambito della cannabis invece di lavorare, che so, su questioni più urgenti come il cambiamento climatico, l’estinzione della specie, le armi nucleari”, spiega DeAngelo nelle prime pagine della sua biografia. “La risposta breve, e più semplice, è che mi sono innamorato della pianta di cannabis quand’ero adolescente, ma ho sempre odiato essere definito e trattato da criminale. C’erano solo due vie d’uscita quindi: dimenticare la cannabis, o cambiare le leggi in materia. La legalizzazione della cannabis è diventata così un requisito indispensabile per la mia felicità personale. La risposta lunga, invece, è che tutta la mia vita è stata animata da una dedizione alla giustizia sociale in un modo o nell’altro, e la fine del proibizionismo significava intersecare tutte le altre cause di giustizia sociale, dai diritti civili all’ambiente, che ho sostenuto negli anni”.

DeAngelo era già sulle barricate quando appena quattordicenne urlava la sua contrarietà alla guerra in Vietnam. Disobbedienza civile in Pennsylvania Avenue di fronte alla Casa Bianca con i lacrimogeni, gli zoccoli dei cavalli e i manganelli dei poliziotti che martellavano zigomi, braccia e anche del futuro re delle ‘canne’. “Tra i combattimenti di strada ho studiato. E sempre lì ho imparato a conoscere la porta girevole del Pentagono dove entravano e uscivano i grandi appaltatori della difesa statunitense, ma è stata la militarizzazione della guerra governativa contro la droga a definire la mia vita futura”.

Nel mirino di DeAngelo c’è la privatizzazione del sistema carcerario, ma soprattutto il profitto immenso che ne hanno tratto i grandi gruppi industriali che hanno investito in esso: “Rendiamoci conto che un reato di violenza si verifica negli Stati Uniti ogni ventisei secondi negli Stati Uniti, ma invece di arrestare chi commette crimini violenti ogni anno vengono arrestate ben più persone con l’accusa di possedere e fumare marijuana. Ogni arresto per cannabis costa ai contribuenti un minimo di 750 dollari, per un costo annuo stimato di 3,6 miliardi. Ma vi sembra logico tutto ciò?”. Ed è qui che secondo DeAngelo si incrocia il privato con la dimensione pubblica delle battaglie per i diritti civili: i neri sono i più vessati, fermati pregiudizialmente prima dei bianchi, e arrestati comunque, proprio come è successo nel caso di uno dei dipendenti dell’Harborside Helph, caso di cronaca dettagliato e citato nel libro, mentre aiutava un paziente ad assumere cannabis.

E DeAngelo a proprio favore cita proprio il tasso di criminalità quasi azzerato nel quartiere di Oakland dove ha sede il suo dispensario medico: “In un autorevole studio della RAND Corporation 2011 si è scoperto che i dispensari e i coltivatori di cannabis in California hanno fatto talmente bene il loro lavoro che è stato quasi impossibile per i cartelli messicani vendere nel nostro stato la loro merce, più economica, ma di pessima qualità”. La lotta dell’uomo con le treccine e una cannetta perennemente accesa in mano non finisce di certo a Oakland. E’ ora che tutti gli Stati Uniti legalizzino la marijuana (solo 23 stati hanno approvato normative che permettono l’uso per motivi terapeutici, mentre in Colorado, Washington, Alaska, Oregon e Washington D.C. è stata legalizzata a scopo ricreativo ndr): “La California ha il microclima ideale per la coltivazione, probabilmente più di qualsiasi altra parte del mondo, e certamente è il miglior luogo possibile negli Stati Uniti. Ma do comunque un’occhiata allo sviluppo del business negli altri stati Usa e in tutto il mondo. Seguo con più attenzione ciò che succede negli stati confinanti con la California: l’Oregon e il Nevada. Guardo avanti per il giorno in cui avremo il primo massiccio stato regionale per il commercio di cannabis interstatale. Speriamo che accadrà presto qui sulla costa Ovest”.

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