Esponenti della destra ultraortodossa, ministri del proprio governo e anche membri del Likud hanno deciso di mettere sotto pressione il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, mettendo così in discussione la sua leadership. L’accusa che gli è stata mossa è quella di non fare abbastanza contro il terrorismo e per contrastare gli attentati palestinesi nella Città Santa e nei territori occupati. Mentre a Gerusalemme est si respira un clima da terza Intifada, l’estrema destra manifesta fuori dall’abitazione di Netanyahu, chiede la costruzione di nuovi insediamenti e l’applicazione dei “provvedimenti più duri” promessi dal primo ministro israeliano che, intanto, ha già ordinato la demolizione delle abitazioni di due attentatori palestinesi.

“Le Forze di Difesa israeliane non tollereranno nessun attacco missilistico, lanci o qualunque altra forma di aggressione volta a terrorizzare la popolazione civile. Continueremo a proteggere tutti i civili israeliani la cui vita è in pericolo”, ha dichiarato Peter Lerner, portavoce dell’esercito. Parole che spiegano la decisione di ricorrere alla forza di fronte a più o meno gravi atti di violenza da parte della popolazione palestinese nei territori occupati. Intenzione di cui l’esercito ha dato prova negli ultimi giorni, quando durante gli scontri tra i militari israeliani dell’Idf e manifestanti palestinesi sono rimasti uccisi Hudhayfah Ali Suleiman, 18 anni, a Tulkarem, e un ragazzino di 12 anni, a Betlemme.

La morte dei due giovani è l’epilogo dell’ultimo episodio di una violenza che va avanti da mesi, con la popolazione palestinese sul piede di guerra dopo l’irruzione della polizia israeliana all’interno della moschea di al-Aqsa, e acuita dalle seguenti restrizioni all’accesso alla Spianata delle Moschee per i palestinesi. Una violenza che si è manifestata con numerosi attentati ai danni di civili israeliani e con la dura risposta dell’esercito di Tel Aviv. Questo clima da terza Intifada e gli scontri sempre più frequenti hanno rigettato la Città Santa nel caos, con gli abitanti e i rappresentanti della destra israeliana che si sono riuniti sotto casa del primo ministro per manifestare e chiedere maggiore impegno nella lotta al terrorismo e l’applicazione delle politiche di repressione promesse negli ultimi giorni.

Una richiesta, quella proveniente dall’ala nazionalista, che ha trovato l’appoggio dei ministri dell’Istruzione e della Giustizia, Naftali Bennet e Ayelet Shaked, con quest’ultima che, riporta il Guardian, ai microfoni della rete israeliana Channel 2 ha dichiarato che le politiche adottate dal governo per combattere il terrorismo non sono sufficienti. Un tentativo di mettere pressione sul premier che è stato adottato anche dal membro del Likud, partito di cui Netanyahu è leader, e rappresentante della Knesset, Oren Hazan. Sempre secondo il quotidiano britannico, Hazan ha dichiarato che “la giusta risposta, l’unica risposta al terrore è costruire, costruire e costruire”. Il riferimento è alla necessità, secondo il politico, di continuare l’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati.

Le richieste della destra più radicale, ma non solo, sono state parzialmente accolte da Benjamin Netanyahu. Il primo ministro ha applicato uno dei primi provvedimenti previsti dal pacchetto per le emergenze annunciato nei giorni successivi agli agguati ai danni della popolazione israeliana, ordinando la demolizione delle case di Ghassan Abu Jamal e Mohammed Jaabis, due attentatori palestinesi. L’offensiva antiterrorismo messa in campo dal governo di Tel Aviv, oltre alla “distruzione delle abitazioni dei terroristi”, prevede anche “il divieto di accesso alla Città Vecchia e al Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee, ndr) per chiunque inciti alla violenza”.

Twitter: @GianniRosini

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