Il vero problema non è il livello di corruzione registrato in Italia e attestato da tutti gli indicatori internazionali. Bensì gli indicatori stessi, che non “valorizzano i progressi” fatti dalla Penisola. Parola del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che ha aperto martedì mattina il convegno durante il quale viene presentato il rapporto sull’attuazione in Italia della convenzione Onu contro la corruzione. Per il numero uno di via Nazionale “nonostante i risultati positivi, l’Italia continua a soffrire di una percezione assai negativa in materia di corruzione“. Di conseguenza, ha sostenuto Visco, “sarà importante che ai progressi effettivi realizzati in questi anni nel contesto normativo e istituzionale, nella capacità di prevenzione e aggressione dell’illegalità e della criminalità finanziaria si associ da un lato uno sforzo di elaborazione di indicatori il più possibile ancorati a evidenze oggettive piuttosto che unicamente legati alle percezioni, dall’altro che migliori la capacità di comunicare e valorizzare i progressi ottenuti, anche sul piano internazionale oltre che su quello interno”.

Insomma: più che ridurre la corruzione, la priorità è migliorare l’immagine del Paese. Perché “anche se le nostre analisi evidenziano i limiti di questi indicatori di percezione, essi incidono sulle scelte economiche, in particolare sugli investimenti diretti nel nostro paese”. Ne derivano, anche attraverso quel canale, “effetti negativi per lo sviluppo economico, il benessere collettivo e la stessa stabilità finanziaria”, ha continuato il governatore. La cui gestione peraltro non è stata immune da “debolezze” nell’intervenire su casi di malagestione sfociati in gravi crisi bancarie su cui alla fine si sono mosse le procure.

“Gli indicatori appena rilasciati dalla Banca Mondiale sulla governance dei paesi relativi al 2014, mostrano ancora, con riferimento alla componente ‘controllo della corruzione’, un arretramento, ancorché lieve”, ha lamentato ancora Visco. “Anche se è presumibile che non tengano ancora conto dei più recenti interventi, questi indicatori segnalano come la valutazione del nostro sistema da parte di alcuni osservatori privilegiati resti tuttora negativa”.

Il rapporto appena presentato, che secondo il ministro della Giustizia Andrea Orlando “promuove il lavoro del governo italiano”, passa in rassegna nel dettaglio tutti gli interventi dell’Italia per allinearsi alle prescrizioni della convenzione Onu contro la corruzione. E elenca diversi punti su cui il Paese deve adottare ulteriori provvedimenti. Non senza qualche gaffe, perché le delegazioni di KazakhistanLiechtenstein che hanno firmato la valutazione sono venuti in Italia nel settembre 2013 per cui il rapporto è aggiornato a quella data. Per esempio a Roma viene chiesto di introdurre nella legislazione il reato di autoriciclaggio, cosa che però è già stata fatta nel dicembre scorso.

Segue la richiesta di “rimuovere il requisito per cui l’azione penale contro la corruzione tra privati può essere iniziata solo su querela della vittima o in caso di distorsione della concorrenza”. L’Italia dovrebbe poi “considerare l’estensione dell’appropriazione indebita nel settore privato a tutti i tipi di proprietà e la rimozione del requisito di una denuncia della vittima”, “continuare gli sforzi per introdurre e rafforzare i provvedimenti disciplinari contro i pubblici ufficiali accusati o condannati per corruzione” e, “come problema generale, la lunghezza dei processi è un elemento di preoccupazione, in particolare con riferimento allo statuto della prescrizione”. Da questo punto di vista, “la legge del 2012 prevede sanzioni aumentate anche per consentire una più lunga prescrizione per i reati di corruzione. Ma in alcuni casi la pratica del patteggiamento può determinare una riduzione delle sanzioni per questi crimini”. Basti pensare a quanto avvenuto per i protagonisti dell’inchiesta sulla cupola che si spartiva gli appalti per l’Expo: sei su sette hanno patteggiato.

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