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Allarmismo e disinformazione sono due aspetti centrali per comprendere il rumore informativo presente nei media odierni. Se da una parte l’informazione produce paura e terrore su tematiche sociali e economiche, dall’altra è anche un ottimo strumento per disinformare, distrarre e ridurre a gossip e chiacchiericcio infinito qualsiasi argomento.

Se da un lato la tematica dei migranti diventa oggetto di discussioni ridicole e retoriche nel Parlamento europeo (si parla di circa 120mila richiedenti asilo in uno spazio di persone che supera i 500milioni di persone), dall’altro la disinformazione attraverso il tweet, il proclama, lo slogan politico e pubblicitario (che tanto deriva da quella tv commerciale che dagli anni Ottanta in poi ha cresciuto migliaia e migliaia di europei) riduce lo spazio di informazione a tante tag, concetti, che vengono decostruiti dal loro significato culturale e politico.

Pensiamo alla parola migrante che potenzialmente identifica chiunque si sposti dal proprio paese di origine ad un altro, ma è anche la condizione permanente di un lavoratore che si reca all’estero per un impiego.

Oppure pensiamo allo stigma politico del clandestino per indicare tutte quelle persone che non hanno diritto di rimanere in un determinato paese a causa di determinate restrizioni. E il richiedente asilo (il refugee inglese) che chiede protezione al paese nel quale giunge per motivi politici o di guerre.

Proprio su questi vocaboli gran parte dell’informazione degli ultimi anni ha costruito un vero e proprio rumore informativo; per l’Italia basterebbe consultare i dati sulla libertà di informazione, ma anche fare in modo che l’Ordine del Giornalisti chieda ai propri iscritti il rispetto dei codici deontologici e la conoscenza e l’approfondimento di determinate tematiche. Appare allora evidente che il rumore informativo si è tradotto in molti casi in disinformazione o strumentalizzazione politica su questioni di dominio pubblico, proprio – e anche – per la questione migranti.

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