Bruxelles, innalzato un grande "cavallo di Troia" di fronte alla sede UE

Il Ttip (Trattato di libero scambio Europa-Usa) è criticato in Europa. Se ne contesta il contenuto, la segretezza e la Camera Arbitrale che esso prevede. Le critiche sul contenuto sono apodittiche ancorché ragionevoli, almeno in alcuni settori: l’invasione di cibo spazzatura e Ogm di ogni tipo è in effetti prevedibile; ma nulla si sa con certezza proprio per via del segreto che avvolge il Ttip. Dunque potrebbero essere premature. L’iniziativa di Julian Assange, che ha promesso 150.000 dollari (una colletta internazionale, brillante esempio di crowfunding) a chi gliene procurerà il testo, merita ogni appoggio: il segreto è inquietante. Le critiche sul Tribunale internazionale sono invece davvero infondate.

Gli Isds (Investor-State Dispute Settlment) sono uno strumento conosciuto da tempo. Al momento ne esistono circa 1.400 (Commissione Europea – Commercio) cui sono stati sottoposti, tra il 1987 e il 2014, 608 casi (United Nations Conference in Trade and Development); alcuni decisi con sentenza, altri chiusi con transazioni e altri ancora pendenti. A ragionare con la testa e non con la pancia, la necessità di un Isds in un Trattato internazionale commerciale è evidente: come si può sottoporre una violazione del Trattato a un tribunale di una delle due parti contraenti? Quali garanzie di imparzialità darebbe un simile giudizio? Paradossalmente, gli unici tribunali davvero indipendenti potrebbero essere considerati quelli italiani cui – non a caso – la politica, cominciando dal vicepresidente del Csm Legnini e finendo con Renzi, raccomanda di tener conto delle conseguenze economiche e politiche delle sentenze.

La grande maggioranza dei tribunali degli altri Paesi ha invece stretti legami con l’esecutivo sicché la loro autonomia sarebbe davvero problematica. Scendendo al caso concreto, nel 2013 un Isds condannò la Libia a risarcire a un’impresa egiziana – Al Kharafi – 935 milioni di dollari: aveva illegalmente revocato la concessione a costruire un complesso residenziale per cui erano stati fatti importanti investimenti e che avrebbe reso utili altrettanto importanti. Un tribunale libico avrebbe riconosciuto il buon diritto dell’impresa? E un tribunale egiziano avrebbe quantificato correttamente il risarcimento? Dunque è una fortuna che il Ttip, quale che ne sia il contenuto, preveda la possibilità di rivolgersi a un giudice terzo. Proprio per questo il Commissario Ue Cecilia Malmström ha proposto di costituirlo in composizione stabile, con 15 giudici, 5 nominati dagli Usa, 5 nominati dalla Ue e 5 provenienti da Paesi terzi, nominati di comune accordo. Un arbitrato classico.

Ma c’è un altro aspetto importante della questione. Per gli europeisti convinti (spero che siano molti) un Trattato internazionale in cui una delle parti sia la Ue è una pietra miliare nella costruzione di uno Stato Federale Europeo. Una politica che gestisca gli interessi dell’Europa e non dei singoli Stati è proprio quella che si invoca oggi, quando l’esigenza di far fronte alla migrazione epocale ci obbliga a trovare soluzioni comuni che superino la barbarie dei muri e del filo spinato. Senza contare che un Isds nel quale la Ue (e non i singoli Stati) è parte contraente già esiste: è quello previsto dal Trattato Ceta con il Canada. Perché Ceta sì e Ttip no? Per i contenuti magari. Bene, sosteniamo Assange, pretendiamo di conoscerli, modificarli se utile, rifiutarli se necessario. Ma prendersela con tribunali imparziali è chiaro indice di cattiva coscienza.

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