Musica

Cesare Cremonini, ecco il suo ‘Più che Logico Tour’: “Il secondo tempo live di una partita che stavamo vincendo. Le mie scelte? Sono libero fin dalla nascita”

Dal dopo LunaPop ai live da tutto esaurito nei Palasport d'Italia, il cantautore bolognese, un re, figlio di un re, si racconta a FQ Magazine: "Nelle mie canzoni dico anche troppo di me. Sono un libro aperto, spalancato. Se leggi i testi c'è scritto davvero tutto quel che mi riguarda. Dalla? La sua assenza a Bologna si sente. E' stato un artista unico. Le sue erano canzoni immediatamente rivolte al sociale, pur restando lontane dalla retorica intrisa di politica dei cantautori impegnati. In questo mi riconosco"

di Michele Monina

Incontro Cesare Cremonini in un hotel dietro Piazza Duomo. È la settimana della moda. Ci sono almeno due anomalie, qui, ora. Lui. E io. Sorvolo su di me, che non interessa al lettore. Ma anche vedere Cremonini da queste parti, cioè nel luogo ‘dove bisogna essere’, suona un po’ strano. Ormai sulla cresta dell’onda da oltre quindici anni, infatti, Cesare è tutto fuorché uno che ci ha abituato a farsi vedere. Appartato, si direbbe, fosse un poeta. E in parte lo è. La chiacchierata che facciamo dura quasi tre ore, contro la mezz’ora concordata. Con l’impressione, una volta terminato, di aver lasciato dietro chissà quante cose. Cominciamo.

Quando sei uscito allo scoperto, ancora ragazzino, hai subito toccato un successo oggi impensabile sul profilo numerico. E l’hai fatto con un album che, ascoltato ancora oggi suona come un album vero, non qualcosa di fatto a tavolino…
Questa cosa del progetto a tavolino mi è arrivata addosso un po’ a sorpresa. Io avevo scritto tutte le canzoni dell’album dei Lunapop a scuola. Anche oggi, nel mio banco del liceo, mi dicono, si trovano scritti i testi di buona parte delle canzoni di Squerez. L’incontro con Walter Mameli, ancora al mio fianco, è stato determinante, perché da allora abbiamo cominciato a lavorare come una piccola azienda, come artigiani. Quando, finita l’avventura dei Lunapop, ho fatto i conti con la percezione che il mondo degli addetti ai lavori, specie di certa critica, aveva di me, ho capito che per molti quello non era il lavoro di un gruppo di ragazzini e del loro produttore, ma una sorta di disegno ordito da una multinazionale. La cosa mi ha lasciato abbastanza turbato, lo confesso. I Lunapop erano un progetto del tutto indipendente.

Il tuo primo periodo solista, tu giovanissimo a dover fronteggiare una notorietà spropositata, mi ha molto ricordato quello di un tuo concittadino, Enrico Brizzi, diventato famosissimo col suo Jack Frusciante è uscito dal gruppo quando era ancora nei banchi del Galvani, e poi costretto a fare i conti con tutto in maniera quasi rocambolesca, come l’ultrapulp Bastogne, sua seconda prova, sta a dimostrare…
In effetti qualcosa in comune, oltre che la bolognesità e l’anagrafe, anche se lui è un po’ più vecchio di me, c’è. Anche io, trovatomi di colpo da solo, con un grandissimo successo e conseguentemente grandissime aspettative da gestire senza più la sicurezza e la protezione che far parte di una band porta con sé, ho avuto una virata non esattamente canonica. Se uno analizza oggi canzone per canzone Bagus, il mio primo disco solista, si accorge di come quei brani fossero già un passo oltre il primo disco. A partire dal singolo Gli uomini e le donne sono uguali, in cui, in maniera discutibile, forse, sostenevo che non c’erano differenze tra i sessi, passando per Padre/madre, in cui dico delle cose sulla mia famiglia che mai riuscirei a dire in un’intervista, per arrivare a Invece sei tu, ballad della durata di circa otto minuti. Sono libero fin dalla nascita.

Questo, scusa l’interruzione, ci permette di affrontare al volo un altro tema che con te non si può non toccare, cioè il fatto che su di te, a parte l’unica vicenda amorosa per certi versi pubblica, e di cui, onestamente, non ci interessa parlare, non si sa nulla. Da che famiglia arrivi, per chi voti, chi frequenti, i tuoi amici, le tue fidanzate.
Guarda, in realtà nelle mie canzoni dico anche troppo. Sono un libro aperto, spalancato. Se leggi i testi c’è scritto davvero tutto quel che mi riguarda, anche se poi è vero che le canzoni spesso dicono a chi le ascolta cose che riguardano il pubblico più che il cantante. Vivo a Bologna, che è assolutamente fuori da tutti i giri che contano, quindi difficilmente mi si potrebbe vedere partecipare agli eventi ‘del momento’. Qui non ci sono paparazzi, né televisioni o giornali di pettegolezzo. Del resto, anche dentro la stessa Bologna, non sono abituato a frequentare ‘i salotti’, chiamiamoli così, dei miei colleghi: se devo uscire preferisco farlo coi miei amici, per cui non c’è davvero niente altro da sapere.

Prima di tornare a Bagus, allora, affrontiamo anche il tema Bologna, che mica è marginale, parlando della tua musica e della tua poetica. Anche se non frequenti  i giri dei tuoi colleghi, ammetterai che nella tua scrittura ci sono le tipiche caratteristiche della scuola bolognese, quella che va da Dalla passando per Carboni fino a Bersani. Raccontare storie, anche intime, che abbiano un taglio universale, fare della propria cameretta la famosa finestra sul mondo.
Quando ho scritto Le sei e ventisei, per dire, mi sono sentito come ‘autorizzato’ a usare la parola “puttana”, perché per usare certe parole bisogna fare attenzione, per il peso e per il suono che hanno, proprio perché lo aveva già fatto Dalla in Disperato erotico stomp. E quella in modo particolare è una canzone che parla proprio di una storia bolognese. Ho potuto farlo perché il pop d’autore, a mio parere, si ispira a una forma di canzone libera, creativa e in evoluzione.

E Dalla? Mica vorrai fermarti solo a citarlo en passant…
L’assenza di Dalla, a Bologna si sente. È stato un artista unico, geniale, capace di fare cose grandissime rimanendo sempre in contatto diretto con la gente. Le sue erano canzoni immediatamente rivolte al sociale, pur restando lontane dalla retorica intrisa di politica dei cantautori impegnati. In questo mi riconosco.

Passo dopo passo, sei arrivato a riempire i Palasport.
Beh, anche quella è stata una conquista. Sulla quale ho dovuto letteralmente scommettere, con Walter Mameli, anche a costo di rinunciare ai cachet e ai guadagni pur di investire. Un giorno ci siamo trovati di fronte al bivio, dopo diversi anni di tanto lavoro e pochi risultati nei live: o proseguire coi teatri, facendo cinquanta o cento date in un anno, scelta che sarebbe risultata conveniente, o puntare in alto coi palasport. Abbiamo deciso di provarci e non mollare, venendo premiati dal pubblico, che è sempre più attento di quello che si pensa.

Che cosa bolle in pentola quindi per quanto riguarda il nuovo show?
Sarà il secondo tempo live di una partita che stavamo vincendo. Un nuovo palco che mi permetterà di muovermi di più e con più libertà. Novità tecnologiche con cui amplificare le emozioni del pubblico. Una band di nove elementi. Ma lo spettacolo che sto preparando come prima cosa ha la fortuna di avere tante buone canzoni, e questo è il suo vero punto di forza.

Sulla faccenda dei live termina l’intervista. In realtà si è parlato di tanto altro, dai figli alla libertà artistica, vero valore da non mollare mai, passando per i social, i fan club e tutto quello che vi viene in mente. Ma lo stop è arrivato sui palasport, che presto lo vedranno di nuovo in tour. Questo colloca, per dirla come gli addetti ai lavori, Cesare ‘in prima fascia’. O, se preferite, Cesare Cremonini e Walter Mameli, piccola azienda artigianale bolognese che da sempre si conquista la giornata a partire dalla scrittura di pregevoli canzoni. Solo a partire da quello. Forse anche per questo, Lucio Dalla, artista di valore assoluto, ha voluto indicare in Cremonini il proprio erede. Un cantautore, un musicista, un re, figlio di un re.

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