Falso ideologico e omissione d’atti d’ufficio. Con queste accuse sono stati rinviati a giudizio l’ex sindaco di Cavezzo in quota Pd, Stefano Draghetti, e i vigili del fuoco Massimo Bortot, caposquadra esperto e coordinatore del Gruppo operativo speciale di Belluno, Michele De Vincentis, comandante del Comando operativo avanzato di San Prospero, e Giovanni Nanni, direttore generale e Comandante del Cratere. Imputati di una demolizione che, secondo la procura di Modena, “non si doveva fare”. Quella di Palazzo Paltrinieri, a Cavezzo, nel modenese, abbattuto il 7 giugno del 2012, appena qualche giorno dopo i terremoti di quell’anno, all’insaputa dei proprietari, sfollati assieme a gran parte della popolazione in seguito alle scosse che avevano devastato l’Emilia Romagna. Il 28 settembre si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gup Teresa Magno, che ha fissato la data del processo per il prossimo 14 gennaio: per Draghetti, firmatario dell’ordinanza che diede il via alla demolizione dell’edificio, l’accusa è di falso ideologico in un atto pubblico, mentre Bortot dovrà rispondere davanti al giudice di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale. Per quanto riguarda i due vigili del fuoco, Nanni e De Vincentis, sono invece imputati di omissione d’atti d’ufficio, “per non aver dato risposta – spiega l’avvocato Nicoletta Tietto, legale dei proprietari del palazzo – alla richiesta di documentazione da noi avanzata”.

Secondo la famiglia Paltrinieri, che in udienza preliminare si è costituita parte civile, in tutto 10 persone tra proprietari dello stabile e residenti, rappresentati dagli avvocati Tietto e Maria Cecilia Ferraresi, come secondo la Procura, infatti, l’edificio poteva essere recuperato. E tuttavia, l’8 giugno del 2012 l’allora sindaco di Cavezzo decise di apporre la sua firma a un’ordinanza di demolizione, autorizzando una squadra di vigili a buttare giù l’edificio. Un via libera concesso all’insaputa dei proprietari, che seppero dell’abbattimento della loro casa guardando le immagini del telegiornale. “L’ordinanza, peraltro – spiega Tietto – era anche post datata, perché un servizio giornalistico dimostra che la demolizione era già in corso un giorno prima degli atti amministrativi. A quel punto, il Comune poteva dichiarare che era stato commesso un errore, o produrre un apparato documentale per dire che era stato tutto legittimo. Hanno scelto la seconda strada, e ora si andrà a processo”.

Per quasi un anno alla famiglia fu negata la possibilità di recuperare le macerie del palazzo, e quando finalmente il via libera arrivò, nulla era più recuperabile di ciò che un tempo l’abitazione custodiva: mobili, fotografie, abiti, suppellettili. E per via dell’ordinanza comunale, i proprietari di Palazzo Paltrinieri avevano rischiato anche di perdere la possibilità di accedere ai rimborsi stanziati dallo Stato in seguito al terremoto. “La demolizione è avvenuta senza alcun verbale”, spiega la famiglia. Accuse respinte dai legali degli imputati, “si è voluto montare un caso penale sul nulla”, commenta Massimiliano Paniz, avvocato di Massimo Bortot. Ma i Paltrinieri sono fiduciosi: “Speriamo che dopo tre anni sia finalmente fatta giustizia – racconta Alessio Bondi, figlio di Rosaria Paltrinieri, tra i proprietari del palazzo – purtroppo i nostri ricordi sono andati perduti, ma è giusto che chi ha sbagliato paghi”.

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