Se ne va uno degli storici dirigenti del Partito Comunista italiano e padri della Repubblica Italiana. È morto a Roma Pietro Ingrao, il primo presidente della Camera eletto dal Pci: aveva compiuto 100 anni il 30 marzo del 2015.  Era nato a Lenola,  in provincia di Latina, nel 1915 in una famiglia dell’agiata borghesia locale con tradizioni liberali: era nipote di Francesco Ingrao, un mazziniano, poi garibaldino, in fuga dalla Sicilia.  “Ingrao è comunista eretico senza scisma”, è  la definizione tracciata di Fausto Bertinotti. La camera ardente sarà ospitata a Montecitorio, sede della Camera dei deputati, da lui presieduta tra il 1976 e il 1979.

“La sua passione resterà un patrimonio del Paese e la sua libertà interiore è un esempio per le giovani generazioni“, ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio di cordoglio. “Desidero esprimere la mia vicinanza e i sensi di profondo cordoglio – continua il capo dello Stato – ai familiari di Pietro Ingrao, agli amici e ai tanti che nel tempo hanno condiviso le sue battaglie politiche e che si sono formati nel confronto con il suo pensiero critico. Ingrao è stato una personalità di grande rilievo non soltanto per la parte politica nella quale ha militato con impegno e dedizione”.

“Con Pietro Ingrao scompare uno dei protagonisti della storia della sinistra italiana”, ha commentato il premier Matteo Renzi. “A tutti noi – continua – mancherà la sua passione, la sua sobrietà, il suo sguardo, la sua inquietudine che ne hanno fatto uno dei testimoni più scomodi e lucidi del Novecento, della sinistra, del nostro Paese”.

Per Ingrao, proveniente da una famiglia di proprietari terrieri, l’adesione alla causa comunista non è affatto scontata (leggi il ritratto di Primo Di Nicola). L’avvicinamento all’antifascismo arriva però dopo un passato liceale durante il quale partecipa persino ai Littoriali, le manifestazioni sportive e culturali riservate agli universitari fascisti. Poi Ingrao si trasferisce a Roma per laurearsi in Giurisprudenza e Lettere, iscrivendosi anche al centro sperimentale di cinematografia, che abbandonerà l’anno dopo . Nel 1936, subito dopo l’esplosione della guerra civile spagnola, inizia ad intensificare i rapporti con gli antifascisti: entra in contatto con Lucio Lombardo Radice e sua sorella Laura, che sposerà nel 1944. Per anni si muove nella clandestinità, spostandosi tra la Lombardia e la Calabria.

Caduto il regime fascista, viene eletto in Parlamento ed entra nella segreteria del Pci: dal 1947 al 1957 dirige l’Unità. Poi nel 1968 è il presidente del gruppo del Pci alla Camera dei Deputati, quindi nel 1976 è il primo presidente di Montecitorio eletto dai comunisti. In questa veste vive i giorni del sequestro di Aldo Moro e poi nel 1979 chiede di lasciare l’incarico di presidente della Camera. Uno dei momenti in cui entra in polemica col partito è nel 1969, quando il Pci espelle gli eretici de Il Manifesto. Per anni Ingrao si rimprovererà di non essere riuscito ad opporsi alla cacciata di Luigi Pin­tor, Ros­sana Ros­sanda, Aldo Natoli, Luciana Castel­lina, Valen­tino Par­lato, Lucio Magri e tanti altri.

Il suo rapporto con il partito s’incrina pesantemente anche nel 1989, quando si oppone alla linea di Achille Occhetto e alla svolta della Bolognina, che trasforma il Pci in Pds. Aderisce comunque alla Quercia nel 1991, abbandonando i Ds nel 1993, quando inizia a sostenere Rifondazione Comunista . Poi alle elezioni regionali in Lazio del 2010 e alle politiche del 2013 dichiara di avere votato per Sinistra ecologia e Libertà di Nichi Vendola. Nel marzo scorso aveva toccato il traguardo dei cento anni.

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