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PRIMO, non è vero che “Junts pel Sì” (Insieme per il Sì), la coalizione degli indipendentisti catalani guidata da Artur Mas (leader del partito -un tempo- moderato Convergència) e Oriol Junqueras (Erc) non abbia un programma definito, come sostengono i detrattori del progetto secessionista.

Oltre cento pagine delineano le tre fasi che, in caso di affermazione del cartello unitario nelle elezioni del 27 settembre, condurranno all’autodeterminazione.

In un primo stadio, da concludersi entro 18 mesi, è prevista la solenne dichiarazione del Parlament di inizio del processo di indipendenza, l’avvio del processo costituente per l’approvazione di una nuova Carta, un tavolo di negoziati con Madrid e con la comunità internazionale, il referendum per la ratifica della Costituzione, infine la proclamazione del nuovo “Stato d’Europa”. Nel periodo transitorio si aprirebbe la seconda fase tesa alla creazione di una diversa struttura statuale, con nuovi apparati burocratici, un nuovo sistema previdenziale, una propria Banca Centrale.

SECONDO, la guerra psicologica ha raggiunto il suo zenit nelle ultime settimane. Sul fronte unitario il governatore della Banca di Spagna, Luis Maria Linde, ha agitato lo spettro del corralito, ossia il rischio della drastica riduzione della liquidità delle banche catalane all’atto della proclamazione unilaterale di indipendenza.

Sul fonte dei separatisti, il President in carica, Artur Mas, si è detto pronto, in caso di affermazione della coalizione, a non versare a Madrid i circa 180.000 milioni di euro di debito catalano (cifra che corrisponde al 18% del debito totale) qualora il governo centrale di Rajoy faccia ostracismo all’apertura di negoziati.

TERZO, «la strategia del terrore», come la definiscono i sostenitori di “Junts pel Sì”, segue la rotta Madrid-Bruxelles. Solo pochi giorni fa l’ufficio di Jean-Claude Juncker ha riaffermato la linea segnata da Prodi nel 2004, poi ribadita da Barroso: una regione che dichiara l’indipendenza da uno Stato membro dell’Ue acquisisce automaticamente lo status di Paese terzo. Argomento, questo, avvertito a Barcellona come nelle zone più remote, la gente di Catalogna ha nelle corde la cultura europea e una visione aperta degli scambi economici.

QUARTO, i sondaggi delle ultime ore dell’istituto Metroscopia attribuiscono la maggioranza agli indipendentisti. “Junts pel Sì” guadagnerebbe 66/67 seggi dei 135 disponibili, con l’apporto dei 10 seggi di cui è accreditato il Cup, altra formazione “catalanista”, i giochi sarebbero fatti. Già in questo autunno si aprirebbero le porte della “fase uno” del programma per l’autodeterminazione.

QUINTO, “Cataluña no te vayas” (Catalogna non te ne andare) è stato lo slogan usato dagli intellettuali latinoamericani che hanno fatto appello all’unità della nazione. Richiamo condiviso dallo scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince, dal peruviano Bryce Echenique, da Enrique Krauze, direttore della rivista messicana “Letras Libres”.

Barcellona, città che seppe accogliere tre Nobel della letteratura latinoamericani, Neruda, García Marquez e Vargas Llosa, rischia ora, secondo il giornalista e scrittore venezuelano Ibsen Martínez, di diventare terreno fertile per quelli che vogliono “un cortile proprio”, un “proprio terreno di caccia”.

SESTO, tutti si chiedono: dove giocherà il Futbol Club Barcelona? La squadra più forte del mondo. Il suo ex allenatore, il pluridecorato Pep Guardiola, uno dei più convinti sostenitori del processo che porta all’indipendenza, non risponde alla domanda. Prova ad immaginare il futuro del club il blog spagnolo “Wikiblues”: il Barça formerebbe una Liga col Nastic, il Reus e con il Sabadell.

Chissà cosa ne penserebbe il trio delle meraviglie (Messi, Neymar, Sanchez) di calcare polverosi campi di periferia….

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