Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania dicono no al sistema delle quote di ricollocamento di 120mila rifugiati in Europa. Solo la Polonia accetta in extremis. La decisione del Consiglio Ue a maggioranza qualificata è obbligatoria per tutti i 28 Paesi Ue, ma tra le rappresentanze dell’Est Europa il malcontento è palpabile. La Slovacchia minaccia addirittura di rivolgersi all Corte di Giustizia Europea. “Vogliamo aiutare soprattutto la comunità cristiana, no all’islamizzazione”, attacca Marek Jurek, eurodeputato Ppe polacco. Il rumeno Ppe Traian Ungureanu parla di “decisione discutibile imposta dalla Germania per ovviare ad un errore storico”, ovvero aver aperto le frontiere ai migranti.  Ma cinquant’anni fa non erano proprio i cittadini dei Paesi dell’Est a scappare dal comunismo e rifugiarsi nei Paesi europei occidentali? “Una falsa analogia storica, una fesseria”, risponde György Schöpflin, eurodeputato Ppe ungherese. “L’Europa è cambiata, le persone sono diverse”, aggiunge Martina Dlabajová, eurodeputata liberale ceca, secondo la quale “le quote devono far parte di un pacchetto più ampio con misure pragmatiche e a lungo termine”. E l’enorme comunità rumena che vive oggi in Italia? “Non veniamo da una cultura ostile, siamo europei anche noi, non veniamo in Italia per impiantare ideologie pericolose”, risponde ancora Ungureanu. Ecco le differenze tra i cittadini dell’Ovest e del Sud Europa, secondo l’eurodeputato slovacco Pál Csáky: “Siamo più poveri, abbiamo paura dell’influenza delle culture diverse e ricordiamo la dominazione musulmana dell’impero ottomano”. Secondo l’eurodeputato ungherese socialista Péter Niedermüller, invece, si tratta solo di una “strumentalizzazione”: “Abbiamo bisogno di aprire frontiere e cultura, non di chiuderle”

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