Slovacchia Fico 675

Spero si tratti di un annuncio di stampo propagandistico, utile per saggiare gli effetti potenziali della posizione del governo sugli equilibri interni all’elettorato del proprio Paese, perché questa sarebbe una mossa decisamente azzardata. La Slovacchia, dopo la decisione del Consiglio dei ministri degli interni dell’Unione europea di approvare la redistribuzione di 120mila richiedenti asilo su tutti i paesi Ue, ha deciso di sfidare l’Unione: Robert Fico, primo ministro slovacco, ha annunciato di aver intenzione di ricorrere alla Corte di giustizia di Lussemburgo per contrastare il provvedimento comunitario. L’accordo sul documento presentato dalla presidenza dell’Unione, infatti, non è stato raggiunto all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. Hanno votato contro, insieme alla Slovacchia, anche l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Romania – cui si aggiunge l’astensione della Finlandia.

È quantomeno strano prendere atto della posizione che hanno assunto i paesi dell’area, in particolar modo la Slovacchia. Forse anche curioso, per non dire quasi senza senso, considerato (tra l’altro) che nessuno degli altri Stati contrari alla risoluzione Ue abbia deciso di appoggiare Fico in questa crociata contro i mulini a vento. La Slovacchia, infatti, è una di quelle nazioni che non avrebbe che da guadagnare dall’arrivo e dall’accoglienza dei migranti; con un occhio all’ultimo rapporto della Commissione sull’invecchiamento della popolazione nel continente e uno agli ultimi dati su occupazione e posti di lavoro nel Paese diffusi dall’Economist, il perché risulta evidente.

Secondo un’indagine relativa al 2015 di ManpowerGroup, azienda specializzata in consulenze nel campo del reclutamento e della gestione delle risorse umane, quasi il 30% delle imprese slovacche – in buona compagnia con circa il 57% di quelle ungheresi – faticherebbe ad esaurire i posti di lavoro vacanti per scarsità di manodopera. Ciò che manca è forza lavoro specializzata: eclatante è il caso del settore IT, che potrebbe aumentare i suoi impiegati di 10mila unità da un giorno all’altro se solo questi fossero effettivamente disponibili.

Allo stesso tempo, guardando ai dati del 2015 Ageing Report della Commissione Europea, ci si chiede in che modo la Slovacchia possa colmare questo gap occupazionale se la popolazione diminuisce e diventa, per di più, sempre più vecchia. A fronte dei 5.4 milioni del 2013, nel 2060 le proiezioni parlano di un calo che porterà gli abitanti del Paese a circa 4.6 milioni di persone. Ci saranno poi più anziani, che vivranno più a lungo: la popolazione in età tra i 15 e i 64 anni diminuirà approssimativamente del 18%, a fronte di un aumento degli over 65 di quasi il 22% rispetto ad oggi. Crescerà progressivamente, di conseguenza, anche la spesa pubblica legata a sanità, assistenza per anziani e pensioni. Come intende far fronte a questa prospettiva il governo slovacco? Un buon punto di partenza, carte alla mano, potrebbe effettivamente essere una politica di accoglienza e integrazione (vera) che, tra le altre cose, favorirebbe la sopravvivenza del welfare state del Paese.

La Slovacchia rappresenta una sorta di caso-esempio nello scenario corrente, ma il ragionamento si potrebbe estendere ed applicare anche ad altri Paesi dell’Unione. Il calo demografico è generalizzato e riguarda tutti, esattamente come la questione migranti: considerando i due fenomeni in questa chiave, è possibile che uno dei due diventi la soluzione dell’altro. Fossi in Fico, mi fermerei a pensare due volte prima di andare allo scontro diretto con l’Unione. Chissà, forse si farebbe ancora in tempo ad accogliere qualche siriano, “prima che la Germania se li prenda tutti”.

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