La guerra ai diesel è una di quelle crociate che periodicamente qualcuno decide di combattere. Per esempio la città di Parigi, o il governo francese, autore di un cambio di rotta sostanziale che rinnega la politica di spingere la propulsione a gasolio e di trasformare i costruttori nazionali, Renault e PSA Peugeot-Citroen, in veri campioni del diesel. Ora che in America è scoppiato lo scandalo Volkswagen e che il costruttore tedesco ha ammesso di avere modificato i software dei suoi motori per superare indenne i test antinquinamento, qualcuno torna a puntare il dito contro i motori diesel. Che, fra l’altro, gli americani non hanno mai amato e che anzi sono un fenomeno quasi unicamente europeo. In questo scenario, nell’immaginario collettivo i motori a benzina, magari ibridi, prendono quota come uniche soluzioni ecologicamente sostenibili. Ma davvero i diesel sono “brutti e cattivi” come sembra?

In realtà, no. Dipende da quali emissioni si prendono in considerazione. I motori diesel consumano mediamente meno di quelli a benzina, di conseguenza emettono meno anidride carbonica CO2, che è un gas serra che contribuisce al surriscaldamento del pianeta. Per questo, in Europa, dove le normative pongono particolare attenzione ai livelli di CO2 emessa, i diesel non sono criminalizzati, anzi, nel 2014 rappresentavano il 53% delle immatricolazioni di auto nuove. Per soddisfare le normative antinquinamento europee – emissioni medie della gamma di ogni costruttore inferiori a 95 g/km di CO2 entro il 2021 – i costruttori puntano anzi proprio su diesel e ibride. Poi dall’anno prossimo arriverà il nuovo ciclo di omologazione World Light Vehicle Test Procedure (WLTP) che introdurrà prove reali su strada e non più solo sui rulli, quindi i limiti andranno ridiscussi, ma intanto le regole con cui si gioca in Europa sono queste.

Certo, però, che se un motore diesel produce mediamente meno CO2 di un benzina di analoga potenza, allo stesso tempo emette più particolato (il famoso PM10) e più ossidi di azoto (NOx), potenzialmente responsabili di malattie respiratorie e cardiovascolari. A porre un limite alle emissioni di particolato hanno pensato le normative Euro 5, che di fatto hanno imposto l’adozione sui diesel dell’apposito filtro antiparticolato o Fap, una sorta di trappola che, come un setaccio, ferma le particelle e successivamente le brucia. Le normative Euro 6, cioè quelle in vigore attualmente, hanno dato una stretta anche a livelli di NOx. Per soddisfare i parametri, i motori diesel devono essere dotati di un sistema di post trattamento del gas si scarico, che può essere di due tipi. Per i motori più piccoli, basta una “trappola” (LNT, Lean NOx Trap), che blocca e gli ossidi e periodicamente si rigenera. Per i motori più grandi, è necessario un sistema SCR (Selective Catalytic Reductor), che faccia reagire gli ossidi di azoto con l’ammoniaca contenuta in un additivo a base di urea. Il liquido sta in un apposito serbatoio, che va riempito a seconda dei modelli ogni 7-8.000 km.

Grazie a questi due dispositivi, le emissioni dei diesel sono a livello di quelle dei benzina. Nel 2000, con la normativa Euro 3, erano ammesse emissioni di NOx di 500 mg di NOx al km, gli Euro 6 si devono fermare a 80, contro i 60 dei motori a benzina. Naturalmente l’aggiunta di trappole e sistemi di trattamento dei gas di scarico ha un costo, che sta rendendo sempre meno convenienti i piccoli diesel. Sono sempre più rare le versioni a gasolio delle citycar di segmento A. La Smart, solo per fare un esempio, ha deciso di non aggiornare il suo piccolo 800 cdi e di limitarsi a proporre versioni a benzina.

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