Il boss è malato e potrebbe beneficiare dei domiciliari. Rischia di uscire presto dal carcere uno dei più importanti mammasantissima della ‘ndrangheta di Vibo Valentia. Con il parere contrario della procura, infatti, il sessantottenne Pantaleone Mancuso potrebbe lasciare il supercarcere di Tolmezzo e finire agli arresti domiciliari a causa di gravi problemi di salute.

Al termine dell’udienza del processo “Black Money”, venerdì scorso, il tribunale di Vibo Valentia ha deciso di accogliere la richiesta dell’avvocato Leopoldo Marchese, senza disporre una perizia urgente così come auspicato dal pm Marisa Manzini che, durante il suo intervento, ha ricordato quanto riferito da un testimone secondo cui “Mancuso, tra il dicembre 2011 e l’aprile 2012, avrebbe intrattenuto contatti telefonici con un ministro di culto (un prete, ndr) autorizzato a prestare assistenza religiosa presso il predetto istituto (il carcere di Tolmezzo, ndr), finalizzati a far pervenire un pacco ad un detenuto”.

Stando a questa testimonianza il boss calabrese potrebbe godere di entrature nel mondo carcerario di Tolmezzo e questo getta un’ombra inquietante sulla richiesta di scarcerazione. Non secondo i giudici vibonesi per i quali i sospetti avanzati in aula dal teste non consentono di “desumere l’esistenza di contatti tra l’imputato e il personale sanitario dell’ospedale di Tolmezzo, della struttura carceraria e con il direttore di quest’ultima”.

Sulla banco del Tribunale, intanto, è arrivata una comunicazione del direttore della casa circondariale Silvia Della Branca che “attesta l’incompatibilità dello stato di salute in cui versa Pantaleone Mancuso”. Incompatibilità che poggia le sue basi sul referto medico del dottor Umberto Dell’Erba, del reparto di Chirurgia generale dell’ospedale di Tolmezzo e del dirigente sanitario del carcere Carlo Malamisura.

Mancuso, quindi, “risulta affetto – è scritto nel provvedimento del Tribunale – da subocclusione intestinale in malattia neoplastica avanzata, patologia che, ad avviso tanto del dirigente sanitario e del direttore della casa circondariale, non può essere adeguatamente trattata all’interno del carcere dove, invece, le condizioni del Mancuso potrebbero aggravarsi significatamente”.

La decisione del Tribunale di Vibo Valentia non è piaciuta alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che, già l’anno scorso, aveva mal sopportato la sentenza contro i Soriano di Filandari, considerati una cosca satellite della famiglia mafiosa Mancuso.

Leggendo le motivazioni della sentenza scritta dal giudice Lorenzo Barraco (lo stesso presidente del Tribunale che ha disposto oggi i domiciliari per Mancuso), si è scoperto che le estorsioni, gli attentati, i danneggiamenti, le bombe e i colpi di pistola sono “un modus operandi ben distante da quelli tipicamente mafiosi”. In sostanza, secondo il Tribunale di Vibo, le cosche non fanno rumore. E se lo fanno vanno assolte.

Una sentenza che, all’epoca, ha fatto uscire dal carcere Leone Soriano, il presunto boss di Filandari condannato a un anno e 8 mesi di reclusione perché riconosciuto colpevole “solo” di aver fatto saltare in aria un paio di auto, di avere incendiato un’abitazione e una cappella funeraria e di avere esploso due colpi di pistola contro un esercizio commerciale. Sentenza che, come era prevedibile, è stata ribaltata in appello con condanne pesantissime per Leone Soriano (15 anni) e per il fratello Gaetano.

Ritornando alla possibile scarcerazione di Mancuso, il boss per ora resta comunque in carcere perché destinatario anche di un’ordinanza di custodia cautelare scattata il 20 luglio scorso su richiesta della Direzione distrettuale di Catanzaro che indagava su un traffico di reperti archeologici.

Le porte di Tolmezzo, quindi, rimarrano chiuse fino a quando il gip non valuterà la richiesta dell’avvocato Leopoldo Marchese che, intanto, ha registrato il parere contrario del sostituto procuratore della Dda Pierpaolo Bruni il quale ha ricordato come lo stesso ufficio del gip, “in casi analoghi di soggetti affetti da neoplasie ha doverosamente disposto una perizia e ha ritenuto compatibile il regime carcerario con la patologia in atto”.

Il riferimento è a Daniele Lamanna, l’ex latitante e boss della cosca “Rango-Zingari” di Cosenza. Anche lui affetto da neoplasia, aveva chiesto di essere mandato agli arresti domiciliari che gli sono stati, invece, negati. Adesso tocca a  Mancuso per il quale la Direzione distrettuale antimafia aveva chiesto il regime del 41 bis.

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