Il bonus di 80 euro è una misura pensata per i lavoratori a basso salario che aiuta poco le famiglie a basso reddito. Il bonus bebè andrà anche ai nuclei non poveri pur costando 200 milioni solo per il primo anno e l’Asdi, l’assegno di disoccupazione introdotto nel Jobs Act, non basta per poter affermare che in Italia ci sia un reddito minimo per contrastare la povertà. Questo dice, in sintesi, il Rapporto 2015 della Caritas Italiana sulle principali misure di politica sociale adottate nell’ultimo anno: “Su questo fronte il Governo Renzi non ha sinora realizzato alcun intervento di rilievo”. Giudizio negativo anche sulle politiche dei governi precedenti, fautori più che altro di ‘piccoli adattamenti’ per far fronte alla crisi. Tra questi provvedimenti ‘tampone’ la Social Card, il bonus straordinario una tantum per le famiglie di dipendenti e pensionati. E quelli della crisi sono stati anche gli anni dei tagli ai Fondi nazionali che finanziano le politiche sociali locali, sia per quanto riguarda i servizi che per i contributi monetari.

Il giudizio sulle misure dell’ultimo anno
Secondo i dati del Rapporto, in materia di sostegno al reddito finora l’attuale esecutivo ha confermato “la tradizionale disattenzione della politica italiana nei confronti delle fasce più deboli di popolazione”. Per quantificare le conseguenze sulla povertà dei vari provvedimenti la Caritas si è basata sul dataset Silc del 2013, composto da quasi 19mila famiglie, campione sul quale sono stati ricostruiti i sistemi di tassazione e spesa sociale e l’indicatore della situazione economica equivalente. Chiara la valutazione sulle misure adottate: “Ai poveri viene fornito qualche sollievo, con un complessivo incremento medio di reddito pari al 5,7%, risultato migliore rispetto ai precedenti governi”. I diversi contributi sin qui introdotti raggiungono una quota limitata delle famiglie in povertà assoluta (che non hanno accesso a beni essenziali quali alimentazione, casa, educazione, abbigliamento) intorno al 20%. Nel settore delle politiche sociali, l’unica azione segnalata consiste nel leggero aumento dei fondi nazionali deciso con la legge di stabilità 2015: lo stanziamento complessivo per i tre fondi principali, Fondo Nazionale Politiche Sociali, Fondo Non Autosufficienze e Fondo Nidi, è salito a 800 milioni rispetto ai 667 del biennio 2014/5. Siamo lontani dai 1070 milioni destinati agli stessi fondi nel 2008 dal Governo Prodi.

Il bonus per i lavoratori dipendenti
Una misura pensata per i lavoratori a basso salario che aiuta poco le famiglie a basso reddito. Questo il giudizio sul credito di imposta da 960 euro l’anno (80 euro al mese) riservato ai dipendenti, erogato per la prima volta nel maggio del 2014 e reso permanente nella legge di stabilità per il 2015. Che dipendendo solo dal reddito individuale, non prende in considerazione – viene sottolineato – la composizione del nucleo o la presenza di familiari a carico. Vale 960 euro l’anno e ne sono esclusi i redditi inferiori a 8145 euro, a parte alcune eccezioni. Costa – secondo il rapporto – circa 9.4 miliardi di euro all’anno. Le stime del Governo Renzi parlano di 9,5 miliardi.  Il punto è che alle famiglie povere in senso relativo dovrebbe andare una parte molto modesta di questa cifra: circa un miliardo, il 10.8% dello stanziamento totale. Alle famiglie povere assolute va una quota di molto inferiore: 186 milioni, il 2% del costo complessivo. Circa 242mila famiglie su 1,8 milioni in povertà assoluta (poco più del 10%), ricevono questo bonus e un quarto di quelli in povertà relativa. Si può essere lavoratori a basso salario ma vivere in un nucleo che, grazie agli altri membri, ha reddito medio o alto. D’altra parte una famiglia è spesso povera proprio perché in essa il lavoro manca o è raro.

Il bonus bebè
La legge di stabilità per il 2015 ha introdotto un nuovo bonus, sempre di 80 euro al mese, a favore di ogni bambino nato o adottato dal primo gennaio 2015 alla fine del 2017. L’assegno dura tre anni ed è riservato alle famiglie con Isee inferiore a 25mila euro. Se l’Isee della famiglia è inferiore a 7mila euro, il bonus raddoppia a 160 euro al mese. Il costo previsto è di 200 milioni per il primo anno, di oltre 600 nel 2016 e di più di un miliardo nel 2017. Dovrebbero riceverlo ogni anno circa 330mila bambini su mezzo milione di nascite. Ne rimangono però esclusi tutti i bambini già nati e almeno una parte delle risorse andrà a famiglie non povere, un neo in un sistema di welfare privo di una misura generale contro la povertà. Questa misura è più selettiva, sia per probabilità di ottenere il bonus che per ripartizione della spesa totale. Un quarto del contributo per i nuovi nati va al 10% più povero delle famiglie.

Il Jobs Act e l’asdi
L’istituto destinato alla tutela del reddito in caso di disoccupazione di lungo periodo, l’assegno di disoccupazione introdotto con il Jobs Act è destinato a chi ha beneficiato della nuova indennità di disoccupazione (naspi) ma si trova, al termine del periodo di relativa copertura, ancora disoccupato e in condizioni di indigenza. La durata dell’assegno, che è pari al 75% dell’aspi ma non può superare l’assegno sociale, è di 6 mesi e verrà erogato fino ad esaurimento del fondo dedicato (200 milioni per ciascun anno nel biennio 2015-2016). Anche in questo caso non mancano perplessità: “Alcuni aspetti avvicinano l’asdi ad una forma di reddito minimo contro la povertà, ma non è possibile concludere che con questo istituto l’Italia si sia finalmente dotata di un reddito minimo, perché l’asdi riguarda solo gli ex lavoratori dipendenti e non tocca chi non ha mai lavorato o chi non rispetta determinati requisiti anagrafici”.

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