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Le cronache di questa estate hanno riportato notizie di cinghiali divenuti pericolosi per gli uomini. In particolare ha fatto scalpore un anziano aggredito a Cefalù da un branco e morto a seguito delle ferite riportate.

Come tutti i selvatici di casa nostra, i cinghiali in realtà non rappresentano un pericolo, ma chiaramente se si sentono in pericolo o sentono pericolo per la prole possono aggredire anziché fuggire. Vero è invece che i cinghiali arrecano danni alle colture. E mentre le aggressioni fanno notizia, i danni non lo fanno tanto sono numerosi. Ma puntare l’attenzione esclusivamente su aggressioni e danni, è un po’ come guardare il dito e non la luna.

Iniziamo con il dire che non esiste praticamente più il cinghiale autoctono, ma quelli che troviamo in circolazione sono per lo più ibridi con specie provenienti dall’Europa dell’est, quando non sono addirittura ibridi derivanti da accoppiamenti fra cinghiali e suini lasciati al pascolo, ibridi definiti “porcastri”. Purtroppo, sono anche ibridi molto prolifici ed il cinghiale non ha altri predatori che il lupo (che prolifica molto meno).

Ma da dove provengono questi cinghiali alloctoni? Qui sta il nocciolo della questione. Essi provengono da immissioni – autorizzate o no – effettuate in questi decenni da enti che hanno assecondato le richieste delle associazioni venatorie, appunto a scopo di caccia. Se, ipoteticamente, il cinghiale fosse rimasto in questo periodo quello autoctono, autorizzandone la caccia, esso sarebbe rimasto in numero contenuto. Con le immissioni, ripeto, autorizzate o clandestine, il numero dei cinghiali è aumentato in maniera drastica.

Come ricorda giustamente il biologo Francesco Petretti: “La falla è rappresentata dai ripopolamenti che ancora oggi vengono fatti annualmente a ritmo di decine di migliaia di capi. Inutile pensare di risolvere il problema del sovrannumero dei cinghiali se prima non si tappa la falla, arrestando questo fiume di esemplari liberati ogni anno dalle strutture pubbliche e private per alimentare una crescente domanda venatoria”. La colpa, pertanto, ancora una volta è nella specie uomo e non già nella specie animale.

Eppure, nonostante i danni perpetrati al territorio, le associazioni venatorie continuano ad avere ascolto presso le istituzioni, tanto che ultimamente si è parlato di un neanche tanto tacito accordo fra mondo venatorio, Federparchi e Legambiente per autorizzare la caccia all’interno dei parchi. A parte il fatto che l’art. 11 della Legge Quadro sui parchi prevede il divieto di “cattura, uccisione, danneggiamento, disturbo delle specie animali”, e che pertanto per poter cacciare occorrerebbe modificare la legge, ma poi appare singolare che proprio i cacciatori, che sono responsabili delle immissioni dei cinghiali, poi vengano addirittura premiati lasciandoli cacciare nelle aree protette. Peraltro, c’è da notare che nel 2014 ci fu un tentativo del nostro legislatore proprio di modifica della legge, introducendo anche la possibilità di caccia in determinati casi. E lì Legambiente si disse contraria.

Se proprio si dovesse modificare la norma, bene sarebbe modificarla nel senso di possibilità di contenimento non cruente e comunque alternative alla caccia. C’è solo da sperare che la notizia della convergenza di intenti fra cacciatori, Federparchi e Legambiente, visto che sarebbe avvenuta all’interno della Festa dell’Unità, sia la solita boutade estiva, che non avrà seguito.

In ultimo segnalo che a novembre si terrà ad Asti un convegno sul contenimento dei cinghiali organizzato Lega Anticaccia, Pro Natura e Cai.

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