Jens Weidmann è un personaggio nell’ombra, se così si può intendere il ruolo di presidente della Bundesbank. E se si prescinde dal suo nuovo incarico che si affianca a quello già svolto. Dal primo novembre Weidmann dirigerà anche la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) che ha sede in Svizzera, a Basilea. Si tratta di una delle istituzioni finanziarie internazionali più importanti e ha il compito di coordinare quasi una sessantina di banche centrali di tutto il mondo, che ne controllano le quote azionarie. Il nuovo presidente del consiglio di amministrazione, fresco di nomina da parte del board, andrà a sostituire Christian Noyer, il numero uno della Banque de France.

Via un francese, dentro un tedesco – Chi è Weidmann e cosa significa il cambio ai vertici della Bri? Per dirla in poche battute, se Noyer è stato una delle “colombe” favorevoli a un accordo con la Grecia durante le trattative sul nuovo pacchetto di aiuti, Weidmann al contrario si è costruito una fama da falco. Un fedelissimo di Berlino che, guarda caso, si è battuto strenuamente contro il salvataggio della Grecia. Weidmann, altro particolare di non poco conto, è stato il più importante consigliere economico di Angela Merkel. Di quella stessa cancelliera che ha imposto ai greci condizioni finanziarie ben più pesanti di quelle che i francesi avrebbero voluto – una mossa che Parigi ha interpretato come un segnale di avvertimento nei propri riguardi. Il presidente della Bundesbank è stato un uomo chiave nel fronte degli intransigenti, sempre riluttante, anche nei momenti più drammatici, a concedere ulteriori dilazioni al governo greco. Il suo approdo alla Bri assume un significato politico, anche se il suo predecessore Noyer avrebbe comunque concluso il suo mandato a ottobre.

Le critiche a Draghi e alla Commissione Ue: “Troppo indulgente” – Secondo particolare: Weidmann – a scanso di dubbi – è conosciuto in Germania come l’anti-Draghi. Il neopresidente della Bri si è opposto in passato più volte alla decisione della Bce di acquistare titoli di Stato di paesi della zona euro. Weidmann non ha mai perso occasione per manifestare un’opinione contraria. Immettere denaro in circolazione è, ai suoi occhi, una terapia inutile, se non dannosa, contro la deflazione. Tutto questo “denaro a basso costo potrebbe frenare la volontà dei paesi debitori di attuare le riforme”. Tra lui e Mario Draghi non corre buon sangue. Un uomo “dal sorriso accattivante e la voce soave”, ma all’occorrenza “un tedesco ostinato che tutti hanno imparato a conoscere”, ha detto di lui una volta la Frankfurter Allgemeine Zeitung. E, in effetti, se non fosse stata per la sua caparbia resistenza, la Bce avrebbe iniziato già nel 2014 con il quantitative easing. Ai suoi occhi la Commissione europea è troppo remissiva, troppo indulgente. Soprattutto con quei paesi dalla finanza troppo allegra – tipo, Francia, Italia e Belgio – che nel 2015, molto probabilmente, non rispetteranno i parametri di stabilità. “Bruxelles ha smesso di esigere politiche di bilancio ambiziose”. Il neopresidente della Bri non vuol sentire parlare di investimenti pubblici per uscire dalla crisi. “Sarebbero un fuoco di paglia”, disse lo scorso anno a un meeting del Fmi sulla stessa linea di Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco.

Dall’Fmi alla corte della Merkel – Manager brillante, anche, Weidmann. Il suo è un curriculum che mette soggezione solo a leggerlo. Si laurea in economia a Bonn alla corte del monetarista Manfred Neumann, ma sono gli studi in Francia, prima a Marsiglia, poi a Parigi, a fare di lui un personaggio chiave nelle relazioni franco-tedesche. Alla fine degli anni Novanta lavora nel Fondo monetario internazionale. Più tardi, nel 2006 Angela Merkel lo vuole con sé alla Cancelleria, a capo del dipartimento di politica economica e finanziaria. E’ lui in questi anni a curare in qualità di esperto i contenuti e gli aspetti strategici degli incontri del G20 per conto del governo tedesco. Nel 2009 la cancelliera lo mette a capo della pattuglia tedesca dei negoziatori nei G8.

E’ solo l’inizio di una carriera fulminante. Sempre con il sostegno di Angela Merkel, nel 2011, a soli 43 anni, diventa il più giovane presidente della Bundesbank della storia. Nel suo discorso d’esordio spiega in due battute la sua Weltanschauung economica: “Nella politica monetaria si tratta di uscire dalle misure di emergenza dettate dalle crisi, così come di separare chiaramente le responsabilità della politica fiscale da quelle della stessa politica monetaria”. Ed è a partire da questa idea della presunta autonomia della Bce che Weidmann si impone come il principale antagonista di Draghi. Il conflitto tra i due si è inasprito fino a trasformarsi in una rivalità personale che, a volte, tracima in dichiarazioni pubbliche avvelenate. Come quando la Reuters attribuì alla Bce una nota che definiva Weidmann un querulant, un brontolone sempre insoddisfatto, qualunque sia la decisione presa. La Bce, poi, smentì ufficialmente.

Il “signor no” baluardo della stabilità dell’euro – Weidmann, dal canto suo, è uomo di poche emozioni, ma basta una sua parola per influenzare i mercati finanziari. Solo una volta si è lasciato sfuggire una battuta che sulla stampa tedesca sollevò, suo malgrado, un polverone: quando paragonò la politica monetaria di Mario Draghi a una “soap opera“. Se la cavò dicendo che è del tutto normale che ci siano “discussioni intense”. “Sarebbe strano se quando sono in gioco decisioni così complesse e gravide di conseguenze, come nel caso della politica monetaria, tutti avessero sempre la stessa opinione”. In Germania Weidmann è, per così dire, una garanzia. Le sue uscite riscuotono spesso approvazione. La sua intransigenza appare il miglior scudo a difesa della stabilità della moneta, nella migliore delle tradizioni della Bundesbank. Ma per molti, invece, all’estero, Weidmann è Herr Nein, il signor no, l’ostinato bastian contrario che non vuole sentire ragioni.

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