inpgi 675Con una importantissima sentenza, il Tar del Lazio ha aperto la strada a pensioni più cospicue – o meglio meno misere – per i giornalisti non assunti. La sentenza riguarda nello specifico gli iscritti all’Epap (geologi, forestali, agronomi e altre categorie professionali), ma ha validità per tutte le casse previdenziali private. Compreso l’Inpgi2, la gestione separata dell’Inpgi che riguarda il lavoro giornalistico non subordinato.

I colleghi freelance e co.co.co sono stati finora per legge vincolati – come tutti i contribuenti di questo tipo – a una rivalutazione dei contribui previdenziali da loro versati in base alla crescita del Pil. Un indice che da anni in Italia si muove pochissimo o addirittura in negativo (in questo caso la rivalutazione dei contributi è pari a zero, non si aggiunge e non si sottrae nulla a quanto versato). Quello che è avvenuto nel 2014, per esempio: anno in cui il Pil è calato dello 0,1927 per cento.

In compenso i loro – i nostri – soldi investiti sul mercato finanziario hanno reso bene, e continuano a rendere bene. Creando un “tesoretto” patrimoniale invidiabile, pari a 417 milioni di euro a fine 2014 rispetto ai 387 milioni del 2013, grazie all’incremento del 7% dei contributi previdenziali e a rendimenti del 3,5% (a valori di mercato). Un patrimonio che non era possibile utilizzare, mentre per molti giornalisti non assunti la prospettiva resta quella di pensioni depresse. Cioè un futuro da fame. E per di più senza l’integrazione al minimo alla quale hanno diritto gli altri lavoratori, in quanto iscritti a una cassa previdenziale di liberi professionisti. Insomma, si versa poco – perché si guadagna poco – e non si può ricevere neanche indietro sotto forma di pensione quanto quel poco rende nel corso degli anni.

Una situazione pesante e paradossale, a rischio di deflagrare senza correttivi, che ora possono essere messi in atto con misure ad hoc da parte dell’Inpgi2. I ministeri competenti, finora del tutto sordi su questo punto, dovranno tener conto della decisione del tribunale. Proprio da una bocciatura ministeriale origina infatti la sentenza del Tar. L’Epap, con una propria delibera, aveva infatti stabilito di utilizzare il 50% del guadagno annuo del patrimonio per aumentare il rendimento del montante dei singoli iscritti. E quindi le loropensioni future. Ma il ministero del Lavoro aveva detto no, ritenendo che la previsione di legge, della rivalutazione legata all’andamento del Pil, non potesse venire disattesa e fosse vincolante.

L’Epap, affiancato da altre casse previdenziali private associate all’Adepp, ha presentatoricorso contro la decisione ministeriale, e il tribunale amministrativo del Lazio ha stabilito che il valore legato al Pil va inteso come minimo: il montante di ogni singolo contribuente non può rivalutarsi meno, ma può anche crescere in misura maggiore. Lasciando la decisione di come intervenire all’autonomia di ogni singola cassa.

Se l’insieme dei soldi versati da tutti gli iscritti nel corso della vita professionale rende più della crescita del Pil – grazie a buoni investimenti e all’andamento del mercato finanziario -, non si vede perché gli interessi generati debbano restare sepolti a far polvere, mentre chi li ha versati intravede lo spettro di una pensione da miseria.

Nel caso dei giornalisti la situazione è particolarmente pesante. I freelance in particolare hanno un’aliquota previdenziale piuttosto bassa su redditi (12 per cento), che a loro volta sono mediamente molto ridotti, salvo eccezioni. I co. co. co, pur avendo redditi ugualmente poco cospiscui, hanno un’aliquota maggiore, intorno al 27 per cento, comunque inferiore a quanto previsto per i collaboratori che versano all’Inps. (Tra l’altro, le spese di gestione del montante dei co. co. co – e questa è un’altra, vera ingiustizia da sanare – sono pagate dai freelance in quanto i ministeri competenti hanno bocciato l’ipotesi di un prelievo da utilizzare a quel fine).

Diventa quindi fondamentale restituire ai giornalisti collaboratori quella parte di rendimento dei loro contributi che eccede la crescita del Pil. Non si tratta della soluzione miracolosa di una situazione di grave crisi generazionale, ma almeno della sacrosanta eliminazione di una stortura.

Una misura che va in questa direzione è già stata approvata a luglio dall’Inpgi, con una storica delibera, che deve essere ancora approvata dai ministeri competenti. Ed è la copertura sanitaria integrativa gratuita. Adottata proprio per utilizzare il suddetto surplus a favore dei colleghi che hanno un reddito compreso tra i 3 mila a 25 mila euro lordi l’anno (sono circa 6.400, su 40 mila iscritti dell’Inpgi2), visto che non si poteva intervenire direttamente sul montante contributivo dopo la bocciatura subita dall’Epap. Ora, con il pronunciamento positivo del Tar, si apre una porta ben maggiore.

Sarà necessario per l’Inpgi2 studiare una delibera che tenga conto degli scossoni possibili dei mercati e non metta a rischio l’erogazione delle pensioni future – al momento sono poche e bassissime quelle erogate, data la giovane età della gestione previdenziale, istituita nel 1997 -, ma è doveroso disseppellire il rendimento del patrimonio e utilizzarlo in larga parte per far lievitare i montanti previdenziali. La prospettive di una pensione da fame per molti lavoratori non assunti costituisce una bomba sociale che rischia di esplodere nei prossimi anni. Anche tra i giornalisti.

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