Poche ore ancora e (giovedì) prenderà il via la tornata di incontri finali in Marocco per tentare di varare un governo di pacificazione nazionale in Libia. Sul filo del traguardo, del tempo che sta per scadere, il delegato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, si giocherà il tutto per tutto. E non è affatto detto che il risultato della partita sarà positivo.

Commossi e sconvolti per quello che stava accadendo nei Balcani, tra la Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria, abbiamo applaudito alla Cancelliera Angela Merkel per aver picconato il Muro di Dublino, per aver aperto le frontiere tedesche, e dunque in parte europee, al popolo dei rifugiati siriani (ed eritrei). Abbandonando così, per alcuni giorni, quello che stava accadendo nel Canale di Sicilia, dove decine di imbarcazioni, gommoni, pescherecci, natanti zeppi di migranti hanno continuato ad attraversarlo.

Dal primo gennaio ad oggi, sono arrivati dalla Libia 120mila e passa migranti che si vanno a sommare ai 170mila del 2014. La Libia continua ad essere una polveriera che può esplodere da un momento a un altro. E trasformarsi in una nuova Somalia – se non lo è già – dove la partita in gioco sarà la nascita di un nuovo Califfato nel centro del Mediterraneo.

Preoccupano l’intelligence, i segnali di prime presenze di Boko Haram in Libia. E le notizie frammentarie sulla prossima offensiva del Daesh che, consolidato il potere a Sirte, potrebbe decidere di sferrare un attacco per la conquista della capitale, Tripoli.

È il tempo il nemico fondamentale delle aspettative europee e occidentali. È quasi un anno da quando il delegato Onu Leon ha avviato le consultazioni tra le parti. Preoccupati per l’imponente flusso migratorio in partenza dalle coste libiche, abbiamo sperato che in poche settimane si sarebbe trovata l’intesa. Ultima ambasciata occidentale a lasciare Tripoli, l’Italia ha lavorato perché effettivamente Leon riuscisse nella impresa (va detto che i nostri interessi economici, petrolio e metano, sono nei territori controllati dagli islamisti del Congresso nazionale generale).

E anche in queste ore il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha chiesto al delegato Leon di non abbandonare la missione in Libia, prorogando la scadenza del suo mandato. Leon per motivi familiari è intenzionato a lasciare. Favorito a prendere il suo posto potrebbe essere un tedesco che parla l’arabo, l’attuale capo missione Onu in Congo, Martin Kobler.

Ma a che punto è arrivata l’intesa, la trattativa. Insomma, il lavoro di Bernardino Leon? A luglio, la delegazione del Congresso nazionale generale di Tripoli, gli islamisti non riconosciuti dalla comunità internazionale, aveva rifiutato di sottoscrivere la bozza d’accordo proposta da Leon, firmata invece dal Parlamento di Tobruk, da gran parte dei partiti politici e da diverse personalità. La settimana scorsa, a Ginevra, la delegazione di Tripoli si è presentata con una diversa composizione. E alcune sue richieste sono state accolte da Leon.

Intanto, in Marocco sapremo se la delegazione di Tripoli ha ottenuto il mandato a trattare dal Congresso nazionale. In questi giorni, diversi congressisti hanno preso le distanze dalla posizione conciliante della delegazione che si è presentata a Ginevra. E sapremo già giovedì se Leon ha apportato le modifiche alla bozza d’accordo proposte dalla nuova delegazione di Tripoli. Ma in quel caso, le delegazioni del Parlamento di Tobruk e dei partiti che approvarono la bozza di luglio potrebbero a loro volta stracciare l’accordo.

A Casablanca le varie delegazioni conosceranno i nomi che ha raccolto Leon per la nomina del presidente del governo e dei suoi due vice che faranno parte del “Consiglio dei cinque”. Leon ha promesso al Parlamento di Tobruk e al Congresso nazionale di Tripoli che i due vice che saranno scelti tra la rosa dei candidati da loro proposti. Nei fatti, Leon, ha delineato una ipotesi di “coabitazione” tra forze avversarie dando a ciascuna il potere di inibizione. Se da questa tornata di incontri in Marocco dovesse effettivamente nascere il governo e il Consiglio dei cinque, qualsiasi decisione o proposta avrà la possibilità di essere accolta solo se il presidente e i due vice voteranno a favore.

Nel calendario di Bernardino Leon, il 20 settembre tutte le forze, i partiti, le rappresentanze parlamentari o congressuali e le personalità dovrebbero dare vita al governo di pacificazione nazionale. E contemporaneamente indicare un energico programma di ripresa economica, rilanciando l’industria dell’estrazione del petrolio e del metano. Chiedere alla comunità internazionale di sbloccare l’embargo delle armi e nel momento in cui giurerà il nuovo governo indicare la strada per rendere la capitale, Tripoli, sicura e agibile. Se tutto questo avverrà, il 20 ottobre il nuovo governo dovrà prorogare l’attuale Parlamento di Tobruk per altri due anni, scadendo il 21 ottobre il suo mandato.

Quanti ostacoli dovrà superare Leon per arrivare al traguardo. Mentre la situazione in Libia peggiora di giorno in giorno. Prendiamo per esempio la questione dei trafficanti di migranti. Al di là degli interventi di polizia internazionale annunciati e ancora non approvati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, rispetto a un anno fa la situazione si è aggravata perché intere fasce di popolazione che ai tempi di Gheddafi viveva grazie al “welfare del petrolio“, oggi sopravvive grazie alla “economia criminale“.

Contrabbando di tutto e di più con la Tunisia e industria dei viaggi di migranti. La capitale di questa economia criminale è Zwarah. La sensazione è che la Libia si trovi sempre di più in un cul de sac. E che giunti sull’orlo del baratro possa prevalere la «buona volontà» di forze libiche diverse, moderate. Non c’è molto tempo a disposizione perché il Daesh non prenda il sopravvento. E l’Occidente deve stringere i denti e aspettare che i libici provino a uscire da questa crisi. Guai a gesti sconsiderati.

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